Alcune caratteristiche locali

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Questo stemma si trova su una tela, a destra, in basso, di un dipinto donato da Placido Imperiale, e rappresenta lo stemma della casa principesca. Il 26 aprile 1865 il Sindaco di Poggio Imperiale Michele Medugno, cittadino di parte liberale, dette alla comunità il simbolo del tricolore d’Italia e per stemma del Comune quello della casa principesca Imperiale.

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San Placido M.
San Placido M.

La Chiesa di San Placido fu edificata nell’anno 1759 a spese del Principe Imperiale e nel mese di marzo del 1760 fu benedetta dall’arciprete di Lesina don Felice Lullo.

Questa tela, donata alla popolazione di Poggio Imperiale dal principe fondatore del paese, è opera del pittore napoletano Francesco De Mura I° metà sec. XVIII, restaurata nell’anno 1998 dalla soprintendenza ai beni culturali con il contributo della popolazione.
La soprintendenza ai beni culturali, in fase di restauro, dopo indagini iconografiche fatte sulla tela, l’ha giudicata di inestimabile valore artistico. Ha inserito il dipinto nella cerchia demuriana.
La tela raffigura San Placido in ginocchio, che prega la Madonna con Gesù Bambino in braccio, mentre, dal basso, un putto gli offre un ostensorio.
Sul quadro, a destra, verso il basso si osserva anche lo stemma della casa principesca: un’aquila rampante con una corona. Tale stemma fu, poi, adottato come proprio dal comune di Poggio Imperiale.

Chiesa del Sacro Cuore di Gesù
Chiesa del Sacro Cuore di Gesù

La Chiesa del Cuore di Gesù fu voluta e fatta costruire dalla congregazione del SS. Cuore di Gesù, nata nel 1828 a scopo religioso filantropico. Fu edificata in fondo al paese nella parte Nord-Est sulla strada per Lesina, di fronte e ben visibile dalla Chiesa Madre di San Placido M. Fu consacrata e aperta al pubblico nel 1838. Seguì le sorti della congregazione, che fu attiva fino al 1940 e che subito dopo la seconda guerra mondiale tentò invano di riorganizzarsi. Aveva organizzazione e amministrazione autonoma e si reggeva con i fondi della congregazione. Fin dal 1832, prima ancora di essere consacrata, la Chiesa ebbe un cappellano, don Luigi De Cicco, e, quando per un certo periodo, ne fu privata, fu retta da un Priore. L’ultimo Priore fu Giuseppe Covino. Nel 1965 fu fatta restaurare dal parroco don Giovanni Giuliani senior, il quale acquistò e rese funzionali alcuni locali adiacenti. Fino al 1965, anno della restaurazione, si poteva ammirare sulla volta un affresco del Cuore di Gesù. Conserva la sua primitiva facciata e il campanile. Ha la pianta rettangolare con due absidi laterali e uno dietro l’altare.

Palazzo De Cicco 1835
Palazzo De Cicco 1835
Palazzo de Cicco retro
Palazzo de Cicco retro

Giuseppe De Cicco nacque a Toro (CB) il 12 settembre 1781, si trasferì a Poggio Imperiale dalla sua città natale con tutta la famiglia: la moglie Concetta Petrucci e due figli, Luigi e Luca. Nel nuovo comune la famiglia si accrebbe di altri figli: Domenico, nato il 28 novembre 1822 e Maria Giuseppa, nata il 28 marzo 1826, e poi Carmela, Aurora e Marianna Concetta.

Benestante terriero, aveva sperimentato per primo l’industria agricola di gran portata, anche con allevamento di diverso genere di bestiame. Era, infatti, proprietario di n. 78 Giumente e Cavalli, n. 54 vaccine  e buoi, n. 1746 pecore, n. 307 capre, n. 50 maiali, n. 4 muli ed asini, che pascolavano nel Bosco di proprietà del Comune di Poggio Imperiale, al quale versava una somma annuale di ducati 60,25. Per diversi anni aveva affittato il Bosco, proprio per permettere un pascolo abbondante ai suoi animali.

A Poggio Imperiale, pochi anni dopo il suo arrivo, aveva fatto costruire una casa di due piani con l’accesso e balconi sulla strada, che porta il suo cognome: Via De Cicco, e che ancora oggi conserva questa denominazione.

Sul terreno agricolo, invece, accanto al fabbricato campestre, fece costruire una specie di torre, chiamata Torretta.

Masseria La Torretta, fatta costruire da Giuseppe de Cicco

Giuseppe de Cicco,il primo Sindaco del Comune di Poggio Imperiale (1 aprile 1816 – 1818), durante il suo mandato di amministratore si era adoperato per far valere alcuni diritti dei cittadini sull’uso del pascolo nelle terre del Comune. Nel 1817 vi erano state diverse contestazioni da parte dei cittadini, perché privati dai Lesinesi del pascolo vernotico sulle terre del loro demanio.
Nell’eseguire la divisione demaniale, non era chiaro l’articolo del diritto del pascolo vernotico per tutti gli animali dei cittadini di Poggio Imperiale sulle tenute del Principe, come risultava da alcuni documenti sui quali era riportato un suo giuramento, fatto con le prime famiglie del villaggio, quello del pieno diritto di pascolo. L’avvocato don Luigi de Blasiis, che doveva sostenere i diritti dei cittadini di Poggio Imperiale ed era in grado di mostrare tali documenti, era, però, deceduto .
Il Sindaco de Cicco, allora, per risolvere un tale inconveniente, aveva chiesto al Sottintendente l’autorizzazione di poter inviare un decurione in quel di Lucera per recuperare i documenti in casa del de Blasiis e fare ricorso con un altro avvocato.
La disputa tra i due comuni era continuata ancora per qualche mese, ma alla fine si era risolta a favore dei cittadini di Poggio Imperiale.
L’Intendente Nicola Intondi aveva sanato la controversia, ordinando che quei terreni fossero inseriti nello Stato Discusso per il 1818 e che la loro rendita fosse indicata come entrata ordinaria all’articolo 12.
Poggio Imperiale non era diversa da tutto il resto della Puglia e partecipava attivamente a quei movimenti liberali che permettevano ai massari di campo e ai cittadini benestanti di occupare terre demaniali o riscattarle a prezzi molto bassi dai contadini che non riuscivano a coltivarle . In questo modo i benestanti si assicuravano l’alternanza al potere locale, rimanendo sempre ai vertici della vita politica cittadina. È vero che in un comune di nuova istituzione si doveva andare sempre alla ricerca di uomini animati di buona volontà per gestire la cosa pubblica, ma è vero anche che questi personaggi cercavano soprattutto di tutelare i propri interessi. Anche il sig. Giuseppe de Cicco aveva inviato all’Intendente un esposto per far valere i propri diritti.

Giuseppe de Cicco, su proposta del Decurionato del Comune di Poggio Imperiale, fu nominato nuovamente sindaco dall’Intendente di Capitanata il 23 marzo 1833. Durante questo secondo mandato, volle realizzare alcune opere che ad altri era stato difficile portare a termine, ma soprattutto il Cimitero e la Casa Comunale.

Il 1 aprile 1833 i novelli amministratori, in base alle disposizioni di quel periodo, prestarono il seguente giuramento: “Noi qui sottoscritto, Intendente di Capitanata cav. Lotti, abbiamo installato alla carica di Sindaco di questo Comune per l’anno corrente in avanti il sig. Giuseppe de Cicco. Così, in esecuzione delle sovrane disposizioni, ha prestato nelle nostre mani il giuramento nel modo seguente.

       ” Io Giuseppe de Cicco, Sindaco del Comune di Poggio Imperiale, prometto e giuro fedeltà ed ubbidienza al Re Ferdinando II, e pronta ed esatta esecuzione degli ordini suoi. Prometto e giuro che nell’esecuzione delle funzioni che mi sono state affidate, io mi adopererò con il maggiore zelo, e con la maggiore probità ed onoratezza. Prometto e giuro di osservare e fare osservare le leggi, i decreti ed i regolamenti, che per Sovrana disposizione di Sua Maestà si trovino in osservanza, e quelli che piacerà alla Maestà Sua di pubblicare in avvenire.

         Prometto e giuro di non appartenere a nessuna società segreta di qualsivoglia titolo, oggetto e denominazione, che non farò di appartenermi giammai. Così Dio mi aiuti”.

Il Decurionato non si riuniva più nelle stanze della Palazzina, perché erano pericolanti ed avevano bisogno di manutenzione. Si cercò allora di reperire nuovi locali per gli uffici, per le riunioni e per il pubblico. In attesa di avere dei locali propri, il Decurionato di Poggio Imperiale, convocato il 7 settembre 1834, per discutere sull’argomento e con delibera n. 27, avente per oggetto: “Affitto della casa Comunale”, deliberava di affittare la casa di don Luigi de Cicco per la durata di quattro anni continuativi da principiare dal dì otto corrente (1834) al sette settembre 1838, per ducati quattro da prelevare dal fondo delle imprevedute[1]. Il Comune, quindi, ebbe la sua sede provvisoria per poter bene amministrare la popolazione.

Si diffondeva intanto in tutta la Capitanata l’epidemia tanto temuta del cholera morbus, che mieteva molte vittime tra la popolazione. A Poggio Imperiale mancavano cappelle rurali o chiese lontane dal paese e il camposanto non era ancora terminato, anzi non era nemmeno iniziato.

La deputazione Sanitaria Locale si era riunita in Poggio Imperiale nella Casa Comunale il giorno 18 aprile 1835 ed aveva preso visione del Regolamento di Pubblica Salute diramato dal Sig. Intendente della Provincia.

La Deputazione dava subito corso alle disposizioni contenute nel Regolamento per contribuire ad emanare le disposizioni necessarie a migliorare nel Comune le condizioni di salute dei cittadini. Affidava l’incarico al 1° Eletto e diffondeva il seguente verbale:

  1. Ristagno di acque in questo Comune in tempo estivo non ve ne sono; ma non così nell’inverno, mentre il guado interno del Comune per la sua costituzione geologica, a causa delle piogge diventa limaccioso, tanto che rende difficile il cammino alle più forti vetture. I proprietari delle case dovrebbero, a proprie spese, fare i raggi di basolati[2] larghi almeno otto palmi dal muro in fuori delle proprie case.
  2. Le stalle devono essere tenute pulite e senza letame.
  3. La Commissione, d’accordo con il 1° Eletto, ha stabilito il luogo dove depositare il letame ed altre immondizie: nel sito detto Strada Tre Valli nel terreno di Domenico Capozzi.
  4. Il 1° Eletto vigilerà di non far andare vagando per le strade gli animali immondi, né quelli di morra entrare nell’abitato.
  5. Trovandosi ancora le sepolture nella Chiesa parrocchiale, perché il Camposanto non è ancora completato, non vi sono chiese rurali, la commissione vigilerà che la chiusura delle stesse sia fatta di calce ogni volta che si seppelliranno i defunti.
  6. Il 1° Eletto sarà incaricato di non far ammazzare da macellai gli animali nel paese fuori dell’abitato, in un luogo dallo stesso designato, né tenere la pelle stesa al sole nell’abitato.
  7. Lo stesso 1° Eletto vigilerà di non far entrare le carni se prima non siano state visitate dalla Commissione locale. Vigilerà alla buona qualità e cottura del pane e che i vini non siano alterati da qualunque sostanza. Vieterà ai liquoristi la vendita di qualunque liquore crudo, come acquavite, spirito di anice ecc…
  8. La deputazione non tralascerà di badare nelle visite periodiche, che farà nelle case dei poveri di inculcare la nettezza delle case, la pulizia della biancheria per quanto si può, e tutt’altro che occorrerà alla loro salute. E in caso di bisogno si farà conoscere alle Superiori Autorità ciò che necessita per migliorare la loro posizione, con apposito verbale.
  9. Il 1° Eletto non tralascerà di vigilare che le case nuove e quelle ristrutturate siano abitate le prime dopo un anno e le seconde dopo sei mesi, ed in caso di contravvenzioni il 1° Eletto ne farà rapporto alla Deputazione.
  10. Lo stesso funzionario baderà di non far ristagnare e buttare nell’interno dell’abitato le acque corrotte e materie guaste.
  11. Non mancherà il 1° Eletto di ordinare ai proprietari tutti delle case di far costruire in ciascuna abitazione delle fogne entro il termine di un mese.
  12. Il 2° funzionario curerà di far emanare dei bandi, perché anche le strade interne siano mantenute con la massima nettezza, né vi si facciano gettare delle acque lorde, né immondezze, né “sfabbricature”, né pietre ed altre, mentre la Deputazione vigilerà di accedere periodicamente alle verifiche delle strade per tale nettezza.
  13. Lo stesso 1° Eletto baderà di far seppellire in una data distanza dall’abitato a profondità i cadaveri di animali morti. I contravventori saranno puniti con le multe prescritte dai Regolamenti.
  14. Le multe che s’infliggeranno per le contravvenzioni dei Regolamenti suddetti saranno eseguiti come per legge e non si ammetterà dalla Deputazione fare settimanalmente lo stato delle multe, rimettendo alle Autorità Superiori, come rendita straordinaria, ed il Sindaco baderà che tale introito farsi in preferenza formulare l’intitolazione delle strade del Comune e la numerazione delle case, di cui il Comune è privo.

Il Documento veniva firmato dal Parroco, Sacerdote Pierangelo Ricciardi, dal Sindaco Giuseppe De Cicco, dal 1° Eletto Giovanbattista Marasca e dal 2° componente Primiano Bubici. –

Paolo Caputo, Cancelliere”.

San Severo, 22 agosto 1835

“Signor Intendente

…scriveva il Sotto Intendente del distretto di San Severo, si è determinato che la Casa Comunale ancora con i fondi più disponibili relativi al colera può farsene l’acquisto per gli utensili dell’ospedale.

E finalmente la commissione è d’avviso di provvedersi dai paesi vicini le persone da impiegarsi al servizio dell’ospedale, poiché dice che nemmeno in quel Comune si trova gente disponibile. La commissione deve con effetto occuparsi a rinvenire fra quegli abitanti tali persone. Non so persuadermi che esse manchino assolutamente quando si vogliono trovare, anche perché trattandosi di una ristretta popolazione, non si ha la necessità di destinarne che ben poche…”.

Il sindaco de Cicco forniva il locale che doveva servire da ospedale per ospitare le persone colpite dal morbo, mentre il cimitero, che avrebbe avuto il compito dell’inumazione dei cadaveri, era stato ricavato da un terreno che apparteneva allo stesso Giuseppe de Cicco[3].

Il 29 agosto l’Intendente approvava il locale da destinarsi ad ospedale, mentre per il cimitero suggeriva di fare una perizia per conoscere al più presto l’idoneità del luogo. Per quanto riguardava il mobilio, continuava l’Intendente, farà serbare l’istesso sistema che si è adottato per gli altri comuni del Distretto.

Il 27 ottobre con nota n. 10751, il Sotto Intendente così scriveva all’Intendente: “Rimetto alla di Lei autorità per l’uso competente, il verbale di visita fattasi dalla commissione sanitaria di Poggio Imperiale all’unica farmacia ivi esistente, la quale si è ritrovata provveduta di tutte le medicine prescritte nel notamento inserito nel suo foglio del 31 decorso luglio, da servire nelle cure del morbo indiano, che Dio tenga da noi lontano”.

La commissione sanitaria si congratulava con il farmacista don Vincenzo Rossi, che aveva acquistato già con molti giorni di anticipo le medicine necessarie per combattere il morbo.

Il 5 ottobre del 1836 la commissione comunale di Poggio Imperiale comunicava all’Intendente che erano diciannove gli infermi, colpiti dal male. Il paese, così, incominciava ad avere le sue vittime. Gli infermi erano colpiti da febbre gastrica. La cura amministrata ai pazienti, chiamata di Franc, chinino e china, era risultata molto efficace per aver guarito la maggior parte degli ammalati.

A causa di una situazione incresciosa, verificatasi nell’abitazione del signor Nicola Cocca, che aveva ospitato quattro persone provenienti da Rodi, Poggio Imperiale fu condannata all’isolamento, perché giudicata di essere portatrice sana della malattia.

La delibera dell’Intendente della provincia aveva provocato gravi danni al comune di Poggio Imperiale, perché aveva isolato la popolazione. Erano cessati i contatti con tutto il resto del circondario con le seguenti gravi conseguenze: mancanza di rifornimenti e quindi scarsità di viveri, mancanza di notizie e quindi sospensione completa della corrispondenza. Si era interrotta qualsiasi comunicazione tra i cittadini e i familiari residenti in altri comuni. Fortunatamente questo stato di cose era durato solo qualche settimana. Subito dopo lentamente la vita cittadina riprendeva a fatica il suo ritmo normale, instaurando di nuovo i rapporti umani e ristabilendo il commercio con la vendita dei beni.

Durante il periodo del suo secondo mandato amministrativo, il sindaco de Cicco aveva gestito bene la cosa pubblica. Erano stati completati i lavori di restauro alla chiesa di san Placido m., sistemati i tetti con materiale più consistente e il grande organo in fondo alla Chiesa[4], come è riportato in una dichiarazione dei deputati delle opere pubbliche che hanno certificato i lavori. “Noi sottoscritti, deputati delle opere pubbliche di questo Comune di Poggio Imperiale, certifichiamo di essersi pulizzato l’organo di questa Matrice Chiesa, sotto il nome di S. Placido Martire, e di essersi ancora accomodati li mantici di esso, che si erano bucati, oltre di altre piccole riparazioni fatte allo stesso, e la spesa occorsa, con tutto il risparmio possibile, di docati quattro, che devonsi all’organaro Nicola di Pasqua del Comune di Caccavone. I deputati: Francesco Braccia e Andrea Chiaromonte”.

La Chiesa aveva bisogno anche di arredi e mancavano i fondi nel Bilancio del Comune per poterli acquistare. Il de Cicco aveva pensato di vendere gli oggetti d’oro[5] che i fedeli di Poggio Imperiale avevano regalato a san Michele Arcangelo, compatrono del Comune. Il Sindaco, il primo novembre 1835, aveva riunito il Decurionato per ottenere l’autorizzazione[6], perché dal 1816 il Comune era diventato proprietario anche della Chiesa, in esecuzione di quanto prescriveva l’art. 71 della legge del 12 ottobre 1816

[1] A.C.P.I., Affari di Segreteria, anno 1838.

[2] Pavimentazione stradale fatta con basoli, caratteristica delle antiche strade romane.

[3] Questo ospedale era un fabbricato composto da un soprano e due sottani, distante dall’abitato e situato in un luogo elevato ed ameno. Cfr. ASFG, Intendenza, Governo e Prefettura di Capitanata, Sanità Pubblica, b. 79, f. 3, anno 1835.

[4] ASFG, Opere Pubbliche Comunali, b. 39, fasc. 671, s. 6.

[5] Sono gli ex voto offerti al Santo per impetrare una grazia o come rendimento di grazie ricevute.

[6] ACPI, Registro delle deliberazioni Decurionali, 1 novembre 1835.

Alla fine del secondo mandato amministrativo del Sindaco Giuseppe de Cicco, finalmente, si realizzava la costruzione della Casa Comunale e del cimitero, divenuto funzionante nel 1837.

Nella parte superiore della Casa Comunale erano sistemati gli uffici ed a fianco c’era l’abitazione del cancelliere. Al piano terra i locali erano destinati ai servizi, alla sede dei vigili urbani ed alle prime aule scolastiche.

Giuseppe de Cicco con il suo saper fare si era prodigato per lo sviluppo del Comune di Poggio Imperiale, realizzando numerose opere, come la costruzione del cimitero, “l’ospedale”, in occasione del cholera morbus, della prima casa comunale… ma aveva pensato anche a far crescere la proprietà di famiglia per la sua numerosa prole.

Moriva il 31 marzo 1841, all’età di 60 anni, lasciando ai superstiti sette figli il suo patrimonio.

Il figlio Luigi fu nominato curato della Chiesa di Poggio Imperiale dal 1839 al 30 settembre 1859.

Il figlio Luca ereditò l’azienda agricola paterna e sposò una nobildonna napoletana, nipote del re Ferdinando II. Fece costruire il maestoso palazzo in mattoni ed alla sommità quel largo cornicione di lastre, ricavate dalle nostre cave di pietra, nel centro del quale è incastonato lo stemma di famiglia.

Nella parte posteriore, rivolta alla campagna, troneggiano agli angoli due torrioni, che danno l’idea di una fortezza. Ancora oggi conserva l’imponenza dei secoli passati.

Al piano inferiore c’erano le stalle e i depositi di materiale agricolo. Nella parte posteriore si entrava in un grande orto che, oltre a piante di ulivi e vigneti, aveva numerose piante di frutta.

Le figlie: Carmela, sposava il signor Antonio Torelli ed Aurora il signor Consalvo Petrucci. Tutte e due cedevano i loro diritti ereditari ai tre fratelli: Luigi, Luca e Domenico. Aurora, con atto del 6 giugno 1843, si rivolgeva al notaio Gentile, mediante il pagamento di ducati 2300, e Carmela, con atto del 7 settembre 1844, si rivolgeva al notaio Zaccagnino, mediante il pagamento di altri 2200 ducati[1].

Le altre due figlie Marianna Concetta e Maria Giuseppa avevano scelto la vita monacale e per tale cambiamento di stato cedevano i loro diritti, sull’eredità paterna e materna al fratello Luigi, con l’obbligo di un vitalizio annuo di ducati 20. La prima faceva predisporre un atto dal notaio Biccari il 10 maggio 1841 e la seconda dal notaio Bruno il 23 novembre 1847, mediante lo sborso delle spese necessarie alla cerimonia di velazione[2]. Il fratello Luigi, a sua volta, con atto del 13 febbraio 1848, stipulato dal notaio Gentile, cedeva i menzionati diritti ed obblighi ai fratelli Luca e Domenico.

[1] Cfr. atti di proprietà rivendicati davanti la Prima sezione della Corte d’Appello delle Puglie sedente in Trani, Foggia, 1878. Il documento mi è stato fornito da Peppino BUCA.

[2] Velazione o velamento delle monache in occasione della loro professione nella religione.

Luca, di animo nobile, si era prodigato molto per Poggio Imperiale, aveva aiutato chi aveva bisogno e aveva contribuito anche all’ampliamento e al restauro della Chiesa matrice di san Placido che necessitava di qualche modifica.
Nel 1842 il sindaco Giuseppe Medugno aveva scritto all’Intendente di Capitanata per comunicare lo stato di disagio in cui si trovava la Chiesa di san Placido e per l’occasione aveva chiesto contributi per il suo restauro. Si doveva costruire anche il campanile della Chiesa. Il Comune non aveva, come sempre, fondi sufficienti per i lavori. Era Intervenuto, allora, Luca de Cicco, che si era fatto garante per la somma di ducati 810.
L’Intendente di Capitanata lo aveva nominato Cassiere del Comune di Poggio Imperiale con la seguente nota: “Luca de Cicco è stato preferito cassiere, riferisce il sottointendente , perché ha i maggiori numeri d’idoneità a ricoprire tale carica, perché offre una gran garanzia al Comune e perché è il primo proprietario del paese”.
I fratelli Michele e Vincenzo Soimiero e Giuseppe Giovannini si aggiudicavano l’appalto per i lavori.

Alla morte di Luca de Cicco avvenuta il 16 novembre 1855, già vedevo di Giulia Mazzoni, deceduta qualche mese prima, i beni di famiglia ereditati, quelli acquistati, la somma per una vertenza  con il Comune di Poggio Imperiale, relativa alla tenuta demaniale di Focicchia, risolta a suo favore[1] venivano assegnati ai propri figli, tutti di minore età, con testamento del 11  novembre 1855, legando la disponibilità ai tre maschi e la legittima[2], come per legge, a Concetta e Maria Grazia.

[1] ASFG, INTENDENZA, GOVERNO E PREFETTURA DI CAPITANATA, atti, Anno 1854 – 1858, B. 472, fasc. 13

[2] La “legittima” è la quota di eredità che la legge garantisce ad alcuni soggetti legati ad una persona defunta da particolari legami familiari.

Era necessario nominare dei tutori per i minori e il Consiglio di famiglia, riunito il 26 novembre dello stesso anno, nominava tutore lo zio Luigi de Cicco e tutore Surrogato il signor Michelangelo Mariani, che inventariavano alla meglio i beni comuni ed indivisi con atto del notaio Farina il 4 dicembre dello stesso anno, affidando la custodia di tutti i cespiti a Luigi de Cicco. Il 10 gennaio 1877 decedeva Domenico de Cicco, fratello di Luca e figlio di Giuseppe, primo sindaco, aprendosi così una nuova successione alla  quale dovevano partecipare Luigi, le sorelle e i figli di Luca. Luigi de Cicco, prete, come si può ben capire, diveniva l’unico tutore e custode dei beni de Cicco. L’inventario del 1855 riportava  ancora inseriti un palazzo, quattro soprani, 33 sottani e 6 fosse, mentre l’inventario del 1877 riporta il palazzo, un soprano, 16 sottani, che con i 13 assegnati a Ferdinando e Francesco Raffaello, figli di Luca, ammontano a 29 e 5 fosse. I fondi rustici erano quasi tutti spariti. I beni, sotto la custodia di Luigi de Cicco, prete, si assottigliavano sempre di più.

Per salvare i pochi beni rimasti si pensò di affidare la custodia al nipote Francesco Raffaello figlio del fratello Luca.

Francesco Raffaello, nato a Poggio Imperiale il 16 dicembre 1841, licenziato negli studi di Ginnasio e Liceo, come dimostrano i certificati rilasciati dal Liceo di Lucera il 5 marzo 1866 e 28 dicembre 1868, godeva della fiducia dei suoi concittadini e del Primo Presidente della Corte di Appello, che, con decreto del 21 marzo 1878, gli affidava il delicato incarico di Vice Conciliatore[1] nel Comune di Poggio Imperiale. Nel 1887 sposava la giovanissima Antonia Palmieri, nata nel 1871. Dal loro matrimonio nascevano cinque figlie ed un solo maschio, Luca.

Francesco Raffaello non si dedicava molto all’attività amministrativa del comune, perché preferiva di più la vita sociale anziché quella politica. Amava viaggiare, godere la tranquillità della famiglia e la compagnia degli amici.

[1] In seguito alla legge 16 giugno 1892, n. 261 veniva regolato il funzionamento di un vero e proprio ufficio di conciliazione, retto da un giudice elettivo competente in materia di “azioni personali, civili e commerciali” fino a 100 lire di valore, di “danni dati” fino alla stessa somma e di locazioni di immobili. Accanto alla figura del giudice conciliatore, la legge del 1892 prevedeva la presenza di un vice-conciliatore e di un messo.

Il declino della famiglia de Cicco era ormai prossimo.

Ferdinando de Cicco, un altro figlio di Luca, nato a Poggio Imperiale il 14 luglio 1838, da giovane era vissuto a lungo e frequentemente a Napoli, sperperando una parte dei suoi beni. In paese parlava il dialetto napoletano, perché pensava di distinguersi maggiormente dalla parlata dei compaesani. Aveva sposato Maria Giuseppa Ripoli, dal cui matrimonio erano nati cinque figli, tutti maschi. Bonaccione e rassegnato alla propria sorte aveva visto, con apatia, senza curarsi di porre rimedio, cadere a pezzi la fortuna della famiglia, che nel passato era stata molto fiorente.

Tutte le case che i de Cicco possedevano in Poggio Imperiale venivano pignorate e vendute al miglior offerente.

Attilio, figlio di Ferdinando, laureatosi in legge all’università di Roma, oltre ad essere stato un valente oratore, era stato anche console a Beirut. Si era stabilito a San Severo, diventando il fondatore del fascismo sanseverese.

Una figlia di Francesco Raffaello, Giulia, aveva sposato Vincenzo Modola di San Severo, che aveva conosciuto Giulia a Poggio Imperiale durante una visita oculistica fatta nell’ambulatorio del dott. Enrico Nista. Dopo il matrimonio Giulia si trasferiva nel paese del marito.

Continuavano a vivere nel maestoso “Palazzo”, in gran parte disabitato, Ferdinando e il fratello Francesco Raffaello con l’ultimo dei suoi figli, Luca, che si era sposato a Verona, dove si era trasferito definitivamente, dopo una breve permanenza con la moglie a Poggio Imperiale.

A causa dei debiti contratti, prima da Luigi e poi da  Ferdinando e Francesco Raffaello era sta necessario vendere il “Palazzo”.

In un primo momento gli amministratori del Comune avevano pensato di acquistare l’immobile, perché erano convinti che il recupero di quella struttura del passato potesse rappresentare la memoria storica di Poggio Imperiale. Questo desiderio non si era potuto realizzare per l’opposizione di qualche amministratore.

Alla fine veniva acquistato dalla famiglia Chirò di San Severo.

Santuario di San Nazario M. a Poggio Imperiale
Santuario di San Nazario M. a Poggio Imperiale

Santuario di San Nazario M.

Il modo più semplice per arrivare alla Cappella Santuario di San Nazario M. è prendere la A14 ed uscire poi al casello Poggio Imperiale – Lesina.
Una volta fuori dell’autostrada, ci si trova in una rotonda che si percorre a metà e poi, seguendo le indicazioni, ci s’immette nella super strada a scorrimento veloce del Gargano. Dalla rotonda al Santuario sono circa 7 Km.

Chiesa di San Nazario M. che si venera a Poggio Imperiale
Chiesa di San Nazario M. che si venera a Poggio Imperiale

Alle pendici dei monti garganici, di fronte al lago e al mare, sul confine di quattro comuni: Lesina, Poggio Imperiale, Apricena e Sannicandro Garganico, sorge l’antico romitaggio dedicato al martire San Nazario.

La cappella rurale del Santo è nel “tenimento di Lesina” e la sua origine risale, forse, al 1050, anno in cui Petronio, conte di Lesina, edificò nei suoi feudi il celebre monastero dedicato a San Giovanni Battista. (Mario Fiore in Profilo storico del Santuario di San Nazario M., Foggia, 1970, p. 58, sostiene che la fondazione della Cappella rurale sia avvenuta in un periodo successivo e precisamente dal 1077 al 1221).

Questo Santuario è in un progetto di rinnovamento e trasformazione per consentire al turista visitatore di trovare tutte quelle condizioni necessarie a sostare e rendere quel luogo una quiete spirituale e fisica, un ristoro d’anima e di corpo e poi proseguire lungo il tragitto che s’inserisce negli itinerari del turismo mistico del Gargano.

Folklore, Cultura e Tradizioni

La Festa dei Santi Michele Arcangelo e Placido M.
La Festa dei Santi Michele Arcangelo e Placido M.

La festa del Santo Patrono S. Placido e del Compatrono S. Michele svolge una funzione sociale, oltre che religiosa. Contribuisce a tenere desta un’intera popolazione, le donne in modo particolare, per le quali la festa ecclesiastica è il movente che le spinge ad uscire di casa.
Per l’occasione la chiesa parrocchiale è rivestita all’nterno con decorazioni e panni colorati.
La festa ha inizio il 5 di ottobre. Al triduo di preparazione i poggioimperialesi partecipano in massa alla funzione serale, per dimostrare un particolare attaccamento a San Placido.
Durante il triduo e nel giorno della sua festa, il 5 ottobre, durante la processione, si prega e s’inneggia al Santo con l’inno a Lui dedicato.

Enogastronomia, Ricette e Prodotti tipici
LA CUCINA E I PRODOTTI TIPICI

La cucina è quella schietta e pastorale, quasi rude all’inizio come tutte le cucine primitive. S’arricchisce poi della preziosità degli aromi, così abbondanti nelle campagne: il profumo della menta e dell’origano, del finocchietto selvatico, della rucola, del rosmarino.
Descrivere le tradizioni gastronomiche di questa terra è come svelare un pizzico della sua essenza. Avvicinarsi a questa cucina è come sentire a tavola il gusto del passato, del semplice, ma soprattutto del genuino. S’impiegano solo prodotti freschi che la terra e il mare forniscono. Naturalmente non manca l’ottimo vino locale.
Le preparazioni tipiche sono tante e provengono essenzialmente da usanze contadine, povere, naturali.

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La cucina è impostata su cinque elementi: i farinacei, l’olio d’oliva, i vegetali freschi e secchi, la carne, il pesce. Il pane viene confezionato tuttora in pagnotte, che raggiungono anche i due chili. Peperoni, melanzane, carciofini sott’olio, lampascioni (lambajule), funghi accompagnano con le bruschette i secondi di carne e di pesce. Spigole, dentici, orate, triglie (agostinelle), seppie, calamari, sgombri, alici, anguille e frutti di mare, appena pescati, vengono cucinati con cura e semplicità antica. Agnello, capretto, maiale, vitello, torcinelli sono cucinati sulla brace, al forno e al sugo. La tavola è arricchita da piatti rustici: acquasanta di pomodori affettati con pane bagnato, olio, sale e origano; focacce con pomodori e con patate o con cipolle; pizza e panzerotti con ricotta. Mozzarelle, provoline, scamorze, trecce, ricotta, provolone, caciocavallo, pecorino sono preparati con latte di pecora, vacca e bufala. Arance e limoni, uva, pere, mele cotogne, melograni, fichi d’india, fichi… accompagnano la tavola in tutte le stagioni.

Era qui che si conservava l'acqua per bere e cucinare
Era qui che si conservava l’acqua per bere e cucinare

Sport, Divertimento e Tempo libero
Come occupare il tempo libero

Un campo sportivo ben attrezzato, gestito da privati, che consente ai giovani di svolgere varie attività sportive.
La vicina Lesina Marina, che offre per la sosta estiva, un soggiorno in un incantevole isola di spiaggia dorata, con l’azzurro del cielo e del mare.
Un luogo di richiamo per gli amanti della pesca e della caccia.
La lunga fascia costiera, che forma l’ampia spiaggia circondata da fitta vegetazione, inizia dalla foce del fiume Fortore, continua per un lungo tratto di costa fino a Punta Pietre Nere ed è interrotta dal canale Acquarotta. Riprende, poi, per un lungo tratto, e giunge alla Torre Scampamorte dov’era la foce del canale S. Andrea, oggi interrata. Prosegue ancora per un tratto fino alla foce del canale Schiapparo e termina subito dopo a Torre Mileto. Questa fascia rappresenta una vasta zona di pregio naturalistico e ornitologico, comprende, infatti, un ambiente umido e molto adatto alla sosta ed al rifugio di numerosi uccelli migratori. Lungo la duna, chiamata anche BOSCO ISOLA, si conserva una vegetazione lussureggiante, simile a quella di tutto il Gargano, dove vegetano querce, elci, cerase, corbezzoli, pino d’Aleppo, l’olivastro, il lauro, il lentisco, il mirto, il ginepro, il rosmarino, le mortelle ed offre buon pascolo ai bovini, ai bufali, ai cavalli e alle capre.
“Vi è un superbo bosco tra il lago e il mare” scriveva Ferdinando IV di Borbone.
Parte di quell’antico mondo vegetale è presente lungo l’Isola, la lingua di terra che separa la laguna dal mare.
Quest’ambiente è unico a livello nazionale, perché comprende un’estensione di macchia mediterranea con piante tipiche molto rare come il Cisto di Clusio.
Proprio percorrendo questa striscia boscosa ricca di fitta vegetazione, che unisce il verde degli alberi all’azzurro del cielo e alla limpidezza del mare, solcato da granelli di sabbia dorata, si svolge un itinerario per rappresentare il teatro di civiltà scomparse.
“… in questi mille ettari di paradiso, per quattordici chilometri di arenile intatto, scrive Fulco Pratesi, il tempo pare si sia fermato.”
Nonostante a tratti, lungo il percorso, si notano baracche a Torre Mileto e alcune palazzine multipiani e residences presso la Torre Fortore, dovute ad una sempre crescente speculazione edilizia, non sono scomparse le vestigia del passato. Ancora oggi, esse rappresentano l’importanza che ebbero in questa costa dell’Adriatico, che le conserva, anche se rovinate dal tempo.
L’itinerario inizia dalla foce del Fortore fino a Torre Mileto. Partendo dalla foce, si procede attraverso il bosco, rasentando la spiaggia, dove s’intrecciano sentieri di terra battuta. Si giunge alla Torre Fortore importante per gli avvenimenti che hanno caratterizzato un periodo di storia del nostro territorio. La sua origine risale al 1485, quando il re Ferdinando d’Aragona conferiva a Riccardo d’Orefice la facoltà di costruire una torre a difesa del porto e della spiaggia del Fortore.
Il percorso continua attraverso l’abitato di Marina di Lesina, fino ad arrivare alla Punta delle Pietre Nere, dove sono presenti le uniche e più antiche rocce della Puglia risalenti al triassico. Si costeggiano le paludi, habitat naturale della gallinella d’acqua e il porciglione, fino ad arrivare davanti la Torre Scampamorte, risalente all’epoca del viceregno spagnolo, secolo XVI. S’imbocca il sentiero che, attraverso una superba macchia di rosmarino, lentischi, corbezzoli e ginepri, porta alla foce Schiapparo. Dopo un lungo tratto di spiaggia, costellata da case abusive e locali variopinti, aperti solo due mesi l’anno, attraverso l’abitato di Torre Mileto, si giunge alla Torre.