Interventi dei relatori

Un nuovo e interessante libro-documento scritto da Alfonso Chiaromonte (scrittore, saggista e storico) “Poggio Imperiale Postunitaria”.

PREFAZIONE di Aldo Magagnino

Nel corso degli ultimi decenni numerosi sono stati gli studi che hanno guardato al processo di unificazione nazionale come ad una guerra di conquista del resto della penisola condotta dal Regno di Sardegna. Secondo gli autori di questi studi, non si trattò affatto di un’epopea eroica di anime generose, desiderose di vedere l’Italia unita sotto un unico sovrano, libera dalla tirannia straniera e dall’arretratezza alla quale la condannavano sovrani non illuminati.

Il 10 gennaio 1859, a Torino, Vittorio Emanuele II pronunciava, nel celebre discorso di apertura del parlamento piemontese, la frase “non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di Noi”. Ma era stato davvero levato un tale grido?

Lo sbarco di Giuseppe Garibaldi a Marsala e la sua folgorante risalita lungo la penisola fino al fatidico incontro di Teano con Vittorio Emanuele II, tutto questo fu davvero visto dalle popolazioni locali come una liberazione dalla tirannia? Oppure si trattò di un’occupazione militare alla quale seguirono spoliazioni, tentativi di ribellione ed eccidi?

A queste domande tentano da decenni di dare risposte numerosi studiosi, con tesi più o meno condivise da alcuni, specie da quella corrente storica definita “neoborbonica”, e rigettate da altri che le considerano, in buona parte, estreme e non aderenti a quella che ritengono sia stata la realtà.

Nel dibattito più recente c’è da segnalare un nuovo saggio di Pino Ippolito Armino, Il Fantastico Regno delle Due Sicilie, breve catalogo delle imposture borboniche (Laterza 2021), che fa piazza pulita di molte delle tesi sostenute dai neoborbonici. Alfonso Chiaromonte, in questo suo nuovo volume, Poggio Imperiale Post-Unitaria, dà conto anche delle divergenti tesi, mantenendo, comunque, a questo riguardo una posizione di equilibrio.

L’autore illustra alcuni aspetti di questo complesso processo, focalizzando poi l’attenzione sulle vicende e gli avvenimenti che si susseguirono, in quel cruciale periodo, in un piccolo centro della capitanata, alle falde del Gargano.

Al momento dell’Unità d’Italia, Poggio Imperiale aveva poco più di un secolo di vita. Chiaromonte evidenzia gli sforzi della comunità al fine di darsi un’identità e un ordinamento, tra le mille difficoltà create dalle rivalità tra le famiglie locali e dalla brama di dominio e di potere dei maggiorenti. Qui come altrove, le famiglie più in vista amministravano il paese secondo i propri interessi e con scarso riguardo, quando non era del tutto assente, per quelli del resto della popolazione, per la maggior parte braccianti e piccoli artigiani.

Il volume testimonia come anche a Poggio Imperiale, come nel resto della Capitanata e della Puglia, l’arrivo di Garibaldi fu accolto con sentimenti contrastanti. Da una parte ci furono timori, dall’altra speranze. Se le classi dominanti temettero, all’inizio, che l’arrivo delle camicie rosse, e dei piemontesi dopo, potesse stravolgere l’assetto sociale, con la paventata requisizione delle terre da distribuire ai contadini, furono presto tranquillizzate. Nulla sarebbe cambiato, le classi dominanti sarebbero restate tali e nulla sarebbe stato sottratto loro, a patto che assicurassero la loro fedeltà al nuovo sovrano dell’Italia Unita.

Anche in Capitanata, sottolinea Chiaromonte, le speranze dei contadini furono offensivamente deluse e le spontanee manifestazioni di protesta, sfociate a volte in veri e propri atti di ribellione furono represse nel sangue. Come avrebbe scritto Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo celebre romanzo Il Gattopardo (1958), tutto doveva cambiare perché nulla cambiasse. E così fu.

La puntigliosa analisi effettuata da Chiaromonte, mostra, anzi, come la condizione delle classi lavoratrici peggiorò ulteriormente, a causa della leva obbligatoria e delle inique tasse che furono imposte per sanare il bilancio del neonato stato italiano. L’autore individua in queste, e nella presenza nelle campagne di sbandati e soldati borbonici delusi per non essere stati assorbiti, come inizialmente promesso, nelle file dell’esercito italiano, alcune tra le principali cause remote del brigantaggio. Un fenomeno che fu combattuto non con sistemi di polizia, ma con tecniche militari e rappresaglie anche contro la popolazione civile. Inoltre, Chiaromonte non manca di annotare lo sforzo della comunità per migliorare la condizione economica, ampliando e variando le coltivazioni e introducendo alcuni sistemi di conservazione e trasformazione dei prodotti.

L’autore è un appassionato cultore di storia patria e ha già pubblicato numerosi studi nei quali ricostruisce, da angolazioni sempre diverse, lo sviluppo del paesello natio, dalle origini del piccolo borgo, nel diciottesimo secolo, fino ai nostri giorni.

Nei suoi interessanti saggi Chiaromonte non ha trascurato nessun aspetto della breve storia di Poggio Imperiale, dalle tradizioni popolari, ai mestieri, ai culti religiosi, alla passione per la musica dei suoi abitanti che diede vita a un complesso bandistico, attivo, con alterne vicende, fino al 1989.

Questo volume illustra anche la storia ammnistrativa di Poggio Imperiale post-unitaria, fino agli anni ’90 del ventesimo secolo, ed è frutto, come tutti gli altri, di una paziente ricerca negli archivi locali e di stato. Il lavoro certosino di Alfonso Chiaromonte rappresenta, in un certo modo, un passaggio di testimone, che consegna alle future generazioni un patrimonio di memorie nelle quali i poggioimperialesi potranno sempre riconoscere le proprie radici.

Aldo Magagnino

 

Presentazione del libro: Poggio Imperiale, il fiumicello Caldoli e il culto di san Nazario m. a Poggio Imperiale, Circolo Polivalente anziani, 29 luglio 2017 ore 20,00.

Conduce Concetta Pinnelli

Saluti di Alessandro Buzzerio, consigliere comunale con delega alla cultura.

Relazione dell’autore del libro Alfonso Chiaromonte

NOTE DI PRESENTAZIONE del sindaco dott. Alfonso D’Aloiso

Quest’ennesima pubblicazione di Alfonso Chiaromonte offre molti spunti di riflessione sul piano della storiografia in generale, di quella religiosa in particolare. Nel Santuario di san Nazario, che sorge appunto in agro di Poggio Imperiale, c’è la confluenza di molteplici fattori che ne fanno un unicum nel contesto dell’Alto Tavoliere e forse anche di tutta la regione Puglia.

Ubicato all’ingresso del territorio pugliese, è il primo approdo di un turismo religioso che può successivamente svilupparsi verso mete garganiche senza dubbio più famose. Il fiume Caldoli con le sue sorgenti di acque termali e la sua bellezza naturalistica appare un complemento inscindibile dalla religiosità che nei secoli si è sviluppata in questo territorio, fulcro e confine degli agri dei comuni di Poggio Imperiale, Lesina, Sannicandro e Apricena.

Come amministratore di Poggio Imperiale non posso non accogliere la sfida posta con la domanda: “chi farà il miracolo?”

Quest’amministrazione comunale, di concerto con l’ASP “Dr. V. Zaccagnino” e il Consarzio di Bonifica di Capitanata, ha candidato a finanziamento un progetto di Rinaturalizzazione del fiume Caldoli e delle sue sorgenti. Un progetto ambizioso ma concreto dalla cui realizzazione ne trarrà benefici l’intero territorio e lo stesso Santuario di S. Nazario.

Il Santuario è stato inserito nel progetto “IO SONO GARGANO” presentato dal Comune di Poggio Imperiale, assieme ad altri diciannove Comuni del Gargano, capofila il Comune di Manfredonia, al MiBACT.

Forse per la prima volta si stanno sviluppando politiche di valorizzazione del sito che lasciano intravedere concrete realizzazioni e non semplici desiderata.

L’opera del Chiaromonte rappresenta pertanto un primo momento di valorizzazione sul piano letterario e storiografico di una risorsa del nostro territorio che sono certo avrà in futuro la giusta rilevanza anche a livello nazionale sia sul piano naturalistico sia sul piano religioso.

Ad Alfonso Chiaromonte il plauso mio personale e di tutta l’Amministrazione Comunale di Poggio Imperiale, per la meritoria opera di ricerca storiografica e culturale che da anni, instancabilmente, conduce e che ha prodotto una mole di scritti di notevole interesse per gli studiosi e per tutti i cittadini del nostro Comune e dei Comuni viciniori.

Alfonso D’Aloiso sindaco

PRESENTAZIONE DI GIUCAR MARCONE

Metodico, serio, appassionato della storia e delle tradizioni del nostro territorio, Alfonso Chiaromonte è un innegabile punto di riferimento per tutti coloro che vogliono scoprire le proprie radici e l’orgoglio di essere tarnuési. Poggio Imperiale è per Chiaromonte il cuore pulsante di un territorio ricco di bellezze naturali, di testimonianze di un glorioso passato, di santuari che hanno segnato il cammino della cristianità: “Poggio Imperiale, un insieme delizioso di tante casupole sovrastate da un campanile, posto su un’eminenza a dominio di una dolce distesa di terra tutta verde e oro punteggiata di costruzioni, sparse per le voluttuose ondulazioni” (F. Collutta).
Momenti ed aspetti della storia locale, narrati con semplicità e profondità, sono frutto di una sua incessante ricerca di documenti, spesso di prima mano, che offrono un contributo non secondario alla conoscenza della nostra storia. Non è un riandare al passato per evocarlo nostalgicamente, ma l’impegno che Chiaromonte si è assunto per tramandare la memoria di un passato che nel bene e nel male ci ha permesso di “crescere”, di costruire la nostra attuale società, di guardare con maggiore consapevolezza al futuro.
La storia di ogni comunità è un patrimonio da non disperdere e che “obbligatoriamente” deve essere salvato e tramandato alle nuove generazioni e a quelle che verranno per far sì che le distrazioni, le tante distrazioni di questo nuovo millennio offerte da una civiltà supertecnologica, non cancellino del tutto le orme del passato.
“Poggio Imperiale, il fiumicello Caldoli e il culto di San Nazario Martire” è il titolo dell’ultimo lavoro di Alfonso Chiaromonte, un saggio tra mito e storia, tra natura e credenze religiose: un affresco di un territorio di una armonia unica, “il Gargano”, un piccolo universo, che “si distingue per i suoi
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inconfondibili caratteri fisici” (A. Ciuffreda). Questa nuova pubblicazione è un’ulteriore conferma della sua passione garganica che evidenzia, se ce ne fosse stato bisogno, la sua validità come storico e scrittore.
Ogni lavoro di Chiaromonte riveste un valore imponente anche per gli studiosi, non solo per quelli che si interessano alle vicende locali, ma, soprattutto, per coloro che si occupano di costume, tradizioni e religiosità, comportamenti umani, del vivere quotidiano.
Con la sua copiosa produzione, Chiaromonte si pone sulla scia dei grandi cantori della “Montagna del sole” quali Michele Vocino, Pasquale Soccio, Cristanziano Serricchio, Enzo Lordi, Giuseppe D’Addetta, Joseph Tusiani.
La sua certosina indagine per costruire storie dell’altro ieri, legate alle origini della spiritualità del Gargano, affonda nel mito più genuino e fantastico sulla presenza degli Dei sul nostro monte. L’autore, depositario di una vasta cultura classica, si sofferma su antichi testi e poemi estrapolando da essi quelle antiche leggende che più ci riguardano, nate probabilmente dopo l’arrivo dei Greci (VIII sec. a. C.) nella Daunia.
Dopo una vasta panoramica sul Gargano e le sue antiche vicende, l’interesse del Chiaromonte come una zumata si posa sul “fiumicello” Caldoli e sul santuario di San Nazario Martire, in agro di Poggio Imperiale, luogo di antica devozione, frequentatissimo dai garganici che con numerosi ex voto hanno voluto testimoniare la loro fede per le grazie ricevute. Ripetutamente si parla di riqualificazione naturalistica dell’intera zona per utilizzare le acque termali di San Nazario, note sin dall’antichità per le accertate qualità terapeutiche. Ogni tanto qualche convegno pone l’accento sull’opportunità di far rivivere le terme e sul loro sviluppo che porterebbe indubbiamente beneficio all’economia dei quattro comuni circostanti (Poggio Imperiale, Apricena, Lesina e Sannicandro Garganico): chi farà il “miracolo”?
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Il culto di San Nazario Martire, che si ricorda unitamente a San Celso, non è monopolio del Gargano, ma è diffuso in particolar modo in Francia e in Italia e questo aspetto “universale” della fama dei due Santi è frutto della ricerca approfondita di Alfonso Chiaromonte che elenca con dovizia le tante parrocchie dedicate ai due martiri in ogni angolo d’Italia.
Ovviamente il nostro autore sottolinea la speciale devozione dei terranovesi e di tutti i garganici per San Nazario e non trascura l’aspetto folkloristico che allieta le celebrazioni della festività nei giorni 27 e 28 luglio quando il piccolo santuario è letteralmente invaso da migliaia di fedeli.
E in questo prezioso scritto di Chiaromonte il ricordo coinvolge anche il mai dimenticato “don Nannino”, avvero mons. Giovanni Giuliani ed altri prelati e suore che sono stati la colonna sonora della vita religiosa nel nostro territorio.
Un volume ricco di spunti e tanti riferimenti, come il ricordo di Placido Imperiale, fondatore di questo amato borgo e Biase Zurlo.
Ad Alfonso Chiaromonte bisogna riconoscere la sua gran voglia di scrivere e di donare ai suoi estimatori qualcosa di completo, una serie di saggi che non tralasciano nessun aspetto della nostra micro-storia.
Per tutti questi motivi “Poggio Imperiale, il fiumicello Caldoli e il culto di San Nazario Martire” è un testo di grande importanza per la conoscenza del nostro territorio, della natura, della religiosità dei garganici. È un testo, tra l’altro, come tutti gli altri scritti di Alfonso Chiaromonte, che chiarisce alcuni aspetti della nostra storia passata proiettata in questo presente così ambiguo. Chiaromonte non si risparmia nelle sue ricerche, è uno stacanovista che non lascia nulla al caso e che, dall’alto del suo sapere, riesce a colmare quei vuoti, che in mancanza di documenti, si risolverebbero con alcuni punti interrogativi. Anche questo volume è corredato da una ricchezza bibliografica che testimonia ancor di più l’impegno di Chiaromonte nella
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realizzazione di ogni suo lavoro. In una rivista dello scorso secolo (Gli Annales) si evidenziava che non si può parlare di storia locale, senza inserirla in un ambiente geografico, economico, demografico, religioso: ed è ciò che fa Alfonso Chiaromonte nella convinzione che “lo studio di una comunità, anche piccola, deve essere globale rispetto alla complessità dei suoi aspetti”.
Giucar Marcone

Relazione di Lorenzo Bove

Il Prof. Alfonso Chiaromonte presenta un suo nuovo libro dal titolo “Poggio Imperiale, il fiumicello Caldoli e il culto di san Nazario Martire” per i tipi delle Edizioni del Poggio.

Con dovizia di particolari e con la consueta precisione di riferimenti, questa volta l’autore ci conduce per mano nei dedali della mitologia per approdare poi agli albori del Cristianesimo, alle persecuzioni e all’affermarsi infine di questa nuova religione nell’impero romano, fornendoci nel contempo elementi di conoscenza riguardo alla trasformazione di antichi templi dedicati agli Dei pagani in chiese, basiliche, abbazie, santuari dedicati ai Martiri del Cristianesimo e ai suoi Santi, con particolare riferimento al nostro territorio della terra di Capitanata, Daunia e del Gargano.

Intrigante, coinvolgente ed affascinante al tempo stesso il mistero che avvolge la Montagna Sacra del Gargano e la Grotta di San Michele Arcangelo di Monte Sant’Angelo. La fede, le credenze, i rituali cristiani e quelli pagani che si intrecciano tra di loro rischiando di generare disorientamento e i tanti dubbi che affiorano dalle analisi condotte dal Chiaromonte sulla base delle numerose fonti consultate. Ma chi non ha dubbi? … ci rammenta ogni tanto papa Francesco. E’ la fede la sola che ci sorregge e che ci indica la Via.

Ma, al di là di ogni considerazione, la Grotta di San Michele Arcangelo rappresenta, per molti di noi, forse ancor più che il Santuario di San Giovanni Rotondo dedicato al Santo Pio da Pietrelcina, il punto di riferimento spirituale della nostra fede e della nostra speranza di salvezza del mondo intero, oggi così barbaramente martoriato da eventi di una gravità tale da far accapponare la pelle. Una citazione di Padre Pio: “Prima di recarvi qui da me… andate a Monte Sant’Angelo e invocate l’aiuto e la protezione dell’Arcangelo Michele”.

Monte Sant’Angelo è uno di quei luoghi in cui torniamo sempre volentieri, per via della sacralità che si respira, per il mistero che impregna questi luoghi il cui culto traspira davvero dalle stesse rocce che lo costituiscono; un luogo esclusivo sia per la sua storia che per la fortissima spiritualità che aleggia al suo interno. Nello scendere nelle viscere della terra, per raggiunge la Grotta, si è pervasi da un qualcosa di mistico, un qualcosa che sfugge alle normali possibilità di conoscenza e che diviene quindi enigmatico e misterioso. Anche lo stesso San Francesco d’Assisi è sceso fin laggiù. A destra dell’ingresso della Grotta si trova un piccolo altare che ricorda la sua visita, compiuta nel lontano 1216, e San Bonaventura narra che San Francesco non si ritenne degno di entrare al cospetto del Principe delle Celesti Milizie: si fermò a pregare dinanzi all’entrata della Grotta dell’Arcangelo Michele.

In questo suo ultimo libro, il Prof. Alfonso Chiaromonte si sofferma sul fiumiciattolo Caldoli che scorre nel territorio di Poggio Imperiale nei pressi del Santuario di San Nazario, tracciando un profilo, per quanto possibile, del Santo molto venerato nel nostro territorio e soprattutto nei quattro comuni limitrofi di San Nicandro Garganico, Apricena, Lesina e Poggio Imperiale.

Le abbondanti informazioni che egli mette in luce sono desunte da una vasta gamma di fonti ricercate in maniera certosina, consultate ed analizzate approfonditamente. Ed anche qui riappaiono dubbi, equivoci, supposizioni, sui nomi, sulle date, sui ritrovamenti e quant’altro ci è stato tramandato nei tempi.

Ma la devozione al nostro Santo rimane solida … al di là di ogni ragionevole dubbio.

Lo stesso autore del libro sottolinea, nella sua Premessa, che “Scrivere di epoche così lontane, senza essere confortato da documenti che possono riempire tanti vuoti e capire come si sono svolti alcuni eventi, è cosa ardua e difficile”.

E gli si deve dare atto di come egli sia riuscito ad elaborare un saggio abbastanza minuzioso, nel quale si ricompongono man mano – come in un “puzzle” – tutte le “tessere” di questo stupendo mosaico che è la storia del nostro territorio, della nostra gente con le sue tradizioni e le sue

credenze. Un saggio che ha il pregio di raccogliere e sviluppare in un unico volume le poche e frammentarie informazioni sul nostro Santuario, sul nostro Santo Martire e sul fiumiciattolo Caldoli disseminate qua e là in fonti più disparate, scritte e di tradizione orale con qualche leggenda.

Il testo è di facile lettura anche se, a prima vista, i riferimenti mitologici e storici, in greco e in latino potrebbero destare, per il lettore, qualche iniziale titubanza. Ma giusta la scelta di riportare tali terminologie nel contesto in cui sono state inserite.

Un escursus storico, politico, religioso e di fede, che si perde nella notte dei tempi fino ad arrivare ai giorni nostri, con esami comparativi finalizzati a mettere a confronto nomi (Nazario, Nazzario, Nazzaro, Lazzaro (Lazzare), Eleazzaro, presunte date di nascita, di martirizzazione per decapitazione (68 d.C. sotto Nerone, 76 o 78 d.C. sotto Vespasiano o 304 sotto Diocleziano), del rinvenimento dei corpi, ecc.

Il culto sul territorio di San Nazario Martire, a partire da quando? Sorgeva in precedenza un antico tempio pagano dedicato a Podalirio? E poi la lotta tra Lesina e Poggio Imperiale per il predominio sulla Cappella dedicata al Santo, fino al sogno dello sviluppo del Santuario e lo sfruttamento delle acque termali del Caldoli.

Questo il nuovo libro dell’amico Alfonso.

Tuttavia l’occasione consente anche qualche piccola divagazione che attiene non tanto alla storia del Santuario di San Nazario, quanto invece a qualche mio personale ricordo dei luoghi riferito ad eventi risalenti ad oltre mezzo secolo fa.

Ebbene, andiamo con ordine.

Ricordo le “levatacce” mattutine di alcune domeniche per servire la Santa Messa al Santuario di San Nazario celebrate dal parroco Don Giovanni Giuliani senior per le famiglie dei contadini delle campagne limitrofe; si andava con una “giardinetta” gialla con la reclame della Pasta Ghigi. La Cappella era presenziata da un eremita che fungeva da guardiano e sagrestano e dimorava in un pagliaio attiguo circondato da un orto ben fornito. In prossimità della ricorrenza della Festa di San Nazario del 28 luglio di ogni anno venivano eseguiti degli interventi preparatori per rendere la Chiesa agibile ed accogliente da parte della molteplicità di pellegrini che si sarebbero ivi riversati nel corso dei festeggiamenti solenni dedicati al Santo. E, poi, gli addobbi dell’altare e il “tusello” ove veniva collocata la (vecchia) statua di San Nazario, una sorta di trono tappezzato di drappi colorati e nastri dorati. In tutte queste operazioni, non mancava la presenza del sacrestano tarnuese Antonio Imperiale conosciuto meglio come ‘Ndonije ‘u sarijestane, un personaggio di molteplici capacità e di spiccata intelligenza. S’intendeva di elettricità, idraulica, meccanica e di tutto quanto potesse occorrere per risolvere problemi di qualunque natura. Era impressionante vederlo salire e volteggiare su lunghe scale a pioli per sostituire una lampadina o riparare un guasto in chiesa, nonostante i suoi problemi di difficoltà di deambulazione dovuti ad una poliomelite infantile, che lo costringevano a servirsi delle stampelle per poter camminare. E noi ragazzi del tempo fungevamo da suoi aiutanti oltre che fare i chierichetti. Personalmente devo ancora oggi dire grazie a lui se riesco ad arrangiarmi con qualche lavoretto manuale fai da te.

Con l’avvento di don Nannino (don Giovanni Giuliani junior) i giovani dell’Azione Cattolica, la GIAC, fummo letteralmente investiti da una spinta propulsiva che ci coinvolgeva pienamente facendoci veramente sentire protagonisti e portatori di un messaggio nuovo da divulgare con la forza dell’esempio in mezzo alla gente.

Anche in occasione della Festa di San Nazario i giovani della GIAC hanno sempre assicurato il loro fattivo contributo di partecipazione sul piano del volontariato. Ma il primo anno di avvio della loro partecipazione, che risale – come già accennato prima – ad oltre mezzo secolo fa, resta davvero memorabile, almeno nei miei ricordi terranovesi di gioventù, e sicuramente anche in quelli di Alfonso, autore del libro.

Partimmo da Poggio Imperiale qualche giorno prima dei festeggiamenti del Santo ed iniziammo i lavori di preparazione sotto la guida del sagrestano ‘Ndonije ‘u sarijestane. La pausa pranzo era allietata dalla consumazione collettiva di uno squisito “pancotto” preparato a cura dell’eremita del

Santuario, con i sui ortaggi. Pernottamento … in Chiesa … distesi sui banchi di legno e … bagni di acqua “sorgiva e tiepida” nel vicino fiumiciattolo/torrente Caldoli.

Baldoria, giochi e canti la sera; ricordo di un gioco … a passarci la palla a mano … ma invece della palla ci passavano dei meloncini, naturalmente dell’orto dell’eremita. Ma anche qualche scherzo più audace, del tipo … prendere di peso qualcuno per le mani e per i piedi … dondolarlo un po’ e poi lanciarlo nel fiumiciattolo. Sorte che capitò, suo malgrado, anche all’ignaro eremita, originario di San Nicandro.

Nei due giorni di festa, ci si alternava tra noi nelle varie incombenze e presso i nostri “stands” a vendere giocattoli o bibite o ricordini o candele, senza alcuna interruzione notturna, poiché i pellegrini, accampati nelle adiacenze del Santuario, continuavano a circolare senza sosta anche di notte.

Mi sovviene in proposito un avvenimento curioso del quale sono stato … incauto artefice.

Era il mio turno di vendita delle candele all’ingresso del Santuario, insieme ad un altro compagno di avventura, ed avevamo notato che i pellegrini arrivavano in chiesa già con la candele in mano e quindi le nostre candele non si vendevano. Dopo un po’ scoprimmo l’arcano: i venditori “professionisti” di candele, per lo più forestieri ed esperti in materia, avevano la prontezza di andare incontro ai pellegrini all’arrivo dei “torpedoni” o delle carovane di carretti e quindi riuscivano a “piazzare” subito le loro candele.

E, allora, mi feci ardito e, all’arrivo del primo “torpedone” mi portai nei paraggi, con il mio pacco di candele, aspettando che i pellegrini cominciassero a scendere ed in effetti la cosa funzionava … stavo cominciando a vendere anch’io le prime candele.

Ma avevo fatto i conti senza l’oste. Infatti uno dei venditori “professionisti”, battuto sul tempo da un ragazzino come me, non poteva sopportare tale affronto e con uno scatto felino era in procinto di saltarmi addosso per scansarmi da quel posto e suonarmele magari di santa ragione. Ebbi la prontezza di schivare il colpo e di scappare velocemente verso il Santuario dove trovai riparo e informai immediatamente di quanto successo don Nannino, il quale fece rintracciare il suddetto individuo e lo diffidò sonoramente, richiamando nel contempo noi ragazzi a rimanere con le candele all’ingresso della chiesa senza allontanarci.

Nel pomeriggio inoltrato dell’ultimo giorno, dopo che tutti gli “stands” erano stati smobilitati ed in attesa del ritorno in paese, io e Fernando, il fratello minore di Alfonso, ci sdraiammo un attimo all’ombra di un poderoso albero di olivastro, cedendo le forze ad Hypnos, il dio del sonno della mitologia greca.

All’arrivo delle macchine che dovevano riportarci a casa, mancavamo all’appello io e Fernando e quindi cominciò una ricerca affannosa, temendo addirittura che fossimo annegati nel fiumiciattolo/torrente Caldoli. A furia di sentire urli e richiami, finimmo con lo svegliarci e raggiungemmo così i nostri compagni di avventura … che naturalmente si mostrarono davvero furibondi e non affatto benevoli nei nostri confronti.

Ed io continuai poi a casa mia una lunga dormita rigeneratrice, che sicuramente durò molte ore, e mia madre mi fece dormire e non venne a svegliarmi neanche quando i miei amici … preoccupati … vennero a cercarmi.

Concludo, complimentandomi con l’amico Alfonso Chiaromonte per l’ottimo lavoro di ricerca eseguito e per le preziose informazioni sul nostro territorio, le nostre tradizioni, le storie, le leggende, i miti, che ci aiutano a riscoprire le nostre radici.

Lorenzo Bove

 

Alessandro Buzzerio, consigliere comunale con delega alla cultura, porge il suo saluto ai presenti nella presentazione del libro “Na zénne de Tarranòve”, nella serata del 17 aprile 2016.

Buona sera a tutti i presenti, un caro saluto ai relatori ed ospiti della serata.

Un sentito ringraziamento ad Alfonso Chiaromonte che quest’oggi, con la pubblicazione di questo suo nuovo libro “Na zénne deTarranòve”, regala alla comunità di Poggio Imperiale un altro dei suoi capolavori e ci racconta nuovi ed importanti avvenimenti della storia del nostro paese.

Non a caso viene presentato in quest’anno storicamente importante per Poggio Imperiale; infatti, è doveroso ricordarlo, si celebra il Bicentenario dell’Autonomia Amministrativa del nostro Comune e la prima parte del libro è proprio dedicata al racconto delle vicende e all’illustrazione dei documenti storici che segnarono nel 1816 l’affrancazione dal Comune di Lesina dell’allora villaggio di Poggio Imperiale, rendendolo di fatti autonomo amministrativamente.

Nella seconda parte del libro, ci racconta la vita vera e propria degli abitanti del nostro paese tra l’800 e gli inizi del ‘900. Una bella ed appassionata descrizione dei luoghi, delle abitudini, delle tradizioni, dei giochi dei ragazzi e dei lavori tipici di quel periodo.

Ritengo che si tratti di un libro molto interessante, un libro che indubbiamente consiglio di leggere soprattutto ai giovani, come me, perché essi rappresentano il futuro di Poggio Imperiale e solo conoscendo il passato, le origini ed i sacrifici fatti dai nostri avi potranno riscoprire e rafforzare il senso di appartenenza a questa nostra comunità ed ereditare l’impegno a continuare a renderla sempre migliore di come oggi la conosciamo. Buon ascolto e buon proseguimento di serata.

Relazione di Lorenzo Bove

Lorenzo

Na zénne de Tarranòve di Alfonso Chiaromonte, Edizioni del Poggio, 2016

 Poggio Imperiale, sabato 16 aprile 2016

Un piccolo angolo di Poggio Imperiale
Pubblicato nel 2016

Ricorre quest’anno il  Bicentenario dell’autonomia amministrativa del Comune di Poggio Imperiale, e, per l’occasione, nell’ambito delle manifestazioni e degli eventi dedicati, le Edizioni del Poggio e l’Associazione Culturale “Poggio Imperiale Circuito Creativo”, con il patrocinio del Comune di Poggio Imperiale, questa sera qui rappresentato al suo massimo livello dal Sindaco Alfonso D’Aloiso e dal Consigliere con delega alla Cultura Alessandro Buzzerio, presentano un nuovo libro di Alfonso Chiaromonte, il cui titolo è “Na zénne de Tarranòve”, del quale io ho scritto anche la “Presentazione”. “Na zènne de Tarranòve”, alla lettera significa “Un piccolo angolo di Poggio Imperiale”, e vuole essere una semplice indicazione che l’autore ha inteso fornire al lettore. Piuttosto che un titolo aulico, solenne e ricercato, egli ha preferito offrire  ad ognuno l’opportunità di vagare facilmente con la propria mente, il proprio pensiero, la propria fantasia, verso orizzonti inviolati, consentendogli nel contempo di ritagliarsi margini di interpretazione e di interesse più consoni alle proprie sensazioni.

Un vero tocco di originalità che occorre riconoscere all’autore del libro; non si tratta, dunque, di stravaganza o bizzarria, bensì di una sua geniale intuizione.

Alfonso Chiaromonte rappresenta un punto fermo nella ricerca storica e dei costumi di Poggio Imperiale, unitamente ad altri insigni compaesani, come Antonietta Zangardi, Gianni Saitto  – tra i più  significativi – e di alcuni altri che, come loro, conservano e sviluppano l’amore per la conoscenza e la diffusione della memoria del nostro passato, patrimonio indispensabile soprattutto per le nuove generazioni.

Ed anch’io ho voluto cimentarmi nel 2008 con un libro dal titolo “Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse”, oltre a pubblicare articoli sul mio Sito/Blog www.paginedipoggio.com  e su Gazzettaweb.net delle Edizioni del Poggio.

Il dialetto è poesia, armonia, musicalità. Solo qualche accenno al nostro dialetto tarnuese è sufficiente per comprenderne la profondità.

Dind’a ‘ndò stà? … Dind’a qua …dind’a lò o dind’a là? …Dind’a ‘ndò? (Sembra sentire il suono delle campane).

S’i tè … t’i dà … Se n’i tè … ‘nd’ì dà! (Sembra udire il ritmo di un treno in movimento).

E che dire di ‘Ndurcenijà (ove recepisci il senso del contorcersi) … da cui discende turcenelle e pure ‘ndorcele; o di Stezzecheije (ove provi la sensazione dell’arrivo delle prime gocce di pioggia).

Ecco, Alfonso  ha scritto un altro libro sul nostro amato paesello, Poggio Imperiale, un’amena località collinare situata ai piedi del Gargano, non distante dal mare Adriatico e posta proprio di fronte al meraviglioso Arcipelago delle Tremiti.

Ma non è di questo,  o solo di questo, che Alfonso  ci vuole parlare nell’ultimo suo lavoro; conosciamo bene il suo stile di scrittore ormai consolidato negli anni, attraverso i numerosi suoi libri, frutto di meticolosa  ricerca  e studio attento ed oculato del materiale e dei reperti rinvenuti  nei vari archivi  dell’intero territorio nazionale.

Questa volta egli  ha voluto intrecciare il frutto delle sue più recenti scoperte, relativamente all’atto del divenire di Poggio Imperiale Comune autonomo, affrancandosi quindi da Lesina, con aspetti più leggeri, ma certamente non meno significativi rispetto ai primi, riguardanti, non di meno,  il nostro popolo, la nostra gente, visti – per così dire – dall’interno e non, da meri osservatori, semplicemente dal lato esteriore.

Nella prima parte Alfonso si prefigge l’intento di offrire, anche all’estimatore  più interessato in fatto di storia del nostro paese,  inedite testimonianze suffragate da atti ufficiali recentemente  reperiti; e pare che ci sia riuscito egregiamente, contribuendo ad accrescere il livello di conoscenza specifica in materia, divenuta  in Poggio Imperiale già da tempo di interesse abbastanza diffuso, non solo tra le persone anziane ma anche tra giovani appassionati  dell’argomento.

Nel nostro viaggio all’incontrario  o, se preferite,  nel nostro ritorno al passato, Alfonso ci conduce  in un cammino che prende le mosse dal  villaggio di Tarranóve, com’era ai primi dell’Ottocento, per  farci ascoltare i primi vagiti dell’autonomia amministrativa, presentandoci le famiglie del primo insediamento nelle abitazioni di via Albanesi e facendoci rivivere il non facile percorso relativo all’autonomia parrocchiale, per approdare infine alla piena indipendenza e al progresso  dell’emergente  nuova comunità.

La seconda parte è sicuramente meno ricca di date, riferimenti ufficiali e quant’altro, ma ha il pregio di entrare nelle case, nelle chiese, nelle scuole, nelle botteghe artigianali di un tempo,  per scoprire come viveva veramente la povera gente, ma anche chi poteva permettersi qualche agio in più. Ed Alfonso lo fa con molto garbo, ricorrendo ai suoi ricordi personali, dall’alto dei suoi  prossimi settantacinque anni  (Ke ‘na bbona salute), e ai racconti recepiti  dalla viva voce delle persone più anziane tuttora viventi in paese, ma anche di quelle che ormai non sono più tra noi.

E i giochi dei ragazzi, i mestieri di una volta, i cibi e tanto ancora, raccontati in prosa con diversi riferimenti dialettali, ma anche alcune deliziose poesie dialettali, nella parte finale del libro,  con relativa traduzione in italiano.

Per ricreare le atmosfere del tempo e aggiungere magari un pizzico di pathos alla narrazione, Alfonso ci porta altresì nel mondo del surreale … nel mondo dei sogni, di un suo sogno “ Ho sognato il mio paese”,  mettendoci  direttamente  in contatto con persone del passato e facendoci  così rivivere avvenimenti, fatti e storie realmente avvenuti tanto tempo fa a Poggio Imperiale.

Penso che sia inimmaginabile un futuro che non poggi le basi su solide radici, ben radicate nel terreno di coltura (e della cultura) del proprio passato; un albero senza radici non fruttificherà mai e sarà destinato inesorabilmente a inaridire e dunque a seccare. La storia di un popolo risulta influenzata molto dall’humus nel quale è germogliata, cresciuta e sviluppata la sua cultura.

Precursore cittadino di siffatta passione fu il compianto Sindaco Alfonso De Palma con il suo celebre “Noterelle paesane” del 1984, il quale proprio a conclusione dei suoi scritti invitava i giovani poggiomperialesi a proseguire nell’opera di ricerca da lui iniziata.

E, in verità, è palpabile la vivacità e l’interesse che, al riguardo, si percepisce in paese, non solo attraverso la varietà e la quantità dei libri negli anni pubblicati, ma anche dal nutrito calendario dei convegni, seminari ed  incontri di studi che vengono in proposito organizzati. Peraltro, con un seguito che travalica il perimetro di Poggio Imperiale, grazie anche ai moderni sistemi informatici, che consentono la divulgazione delle informazioni e l’aggiornamento in tempo reale, pure a distanze notevoli. La definirei, una vera e propria  tarnuesità … che va oltre  i confini!

Ad Alfonso mi lega un’antica, consolidata e fraterna amicizia maturata negli anni della nostra gioventù trascorsa a Poggio Imperiale, ricca di infiniti ricordi sia per le cose impegnative fatte e sia per le tante altre diavolerie che l’età e la voglia di fare ci spingevano a compiere.

Questa occasione mi fa ritornare alla mente gli anni della nostra gioventù trascorsa a Poggio Imperiale, da studenti, da giovani della GIAC (Gioventù Italiana Azione Cattolica), da compartecipanti a spettacoli teatrali (uno per tutti “Spettacolissimo”), ove non ci si limitava a recitare repertori noti e meno noti, ma molti dei testi venivano scritti direttamente da noi, così come le parodie delle canzoni e tante altre interessanti cose.

Alfonso era col tempo diventato un grande Mago Prestigiatore e riscuoteva parecchio consenso tra il pubblico. Favoloso quando faceva l’uovo come una vera gallina o quando faceva riapparire nell’interno di un panino (apparentemente) integro, una monetina che si era fatto precedentemente consegnare da un volontario scelto tra il pubblico, e che lui aveva fatto opportunamente sparire (la monetina, naturalmente!). Ma anche i ritiri spirituali con Don Nannino presso il Convento di Stignano; il Campo Estivo Diocesano di Castelnuovo della Daunia; le Lotterie a premi per finanziare attività benefiche; i lavori di realizzazione della nuova sede della GIAC; le attività di natura benefico/commerciale in occasione della festa di San Nazario presso l’omonimo Santuario;

le adunanze del sabato pomeriggio con Don Nannino e prima ancora al circolo con don Giovanni senior; l’ordinazione sacerdotale di Don Nannino, i riti e le cerimonie religiose, i cori, i canti e la Commissione Festa Patronale. Il triduo Pasquale, il canto dei Salmi, le Battiture (la simulazione della flagellazione di Cristo Gesù: in sacrestia noi ragazzi dovevamo battere dei pezzi di legno sulla pedana, mentre in chiesa calava il buio) e le prediche dai balconi, addobbati con le coperte di seta, lungo il percorso della Via Crucis cittadina, che Don Nannino assegnava per ogni stazione a ciascuno di noi, e l’ansia e la trepidazione di quei momenti, generate dal fatto di dover parlare dal balcone alla folla che seguiva mestamente la processione (si trattava in verità di recitare a memoria un testo predisposto preventivamente da Don Nannino). Salire su in cima al campanile della chiesa per suonare le campane, a distesa, a morto, a ventun’ore (ventunesima ora, verso le ore 16:00). Le elezioni politiche, il comitato civico, le staffette tra i seggi e la sede del comitato installato presso la GIAC; l’accompagnamento delle persone anziane ai seggi, a piedi o con la macchina guidata da Matteo o da Tonino. La gite, le scampagnate, gli scherzi (a volte anche pesantucci), i giochi, le feste, le serate danzanti rigorosamente in casa e con la presenza di qualche genitore/genitrice … e i pegni da pagare (o da scontare) … e guai se qualcuno veniva preso di mira! E “i cùmmenelle”  (cenette) organizzate anche nella sede della GIAC …con il camino acceso e le salsicce sulla graticola … “i passatélle”. Il Cinema Imperiale e i tanti film in bianco e nero,  la Settimana Incom, le comiche … e poi i film a colori, i colossal. I primi bar di Poggio Imperiale (in precedenza c’erano in paese soltanto alcune cantine, luoghi di mescita e vendita del vino e dunque  gli unici luoghi di ritrovo degli uomini, che si incontravano per giocare a carte e fare le passatelle): quelli di Buzzerio, Nargiso e Caniglia in piazza, successivamente quello di Felecette Saccone sotto il Palazzo De Cicco all’angolo con la via del Pozzo e molto più tardi quello di Leonardo di fronte alla chiesa del Cuore di Gesù. Un gelato, una tazzina di caffè, un bicchiere di birra (peroncino, canadese o tre quarti), una partitina a carte o al biliardo (stecca o boccette) … e le canzoni del “juke-box” … l’introduzione della monetina (50 Lire per una canzone e 100 per tre) … la selezione del disco … e via con la musica … erano gli anni sessanta! La Festa del Soccorso a San Severo, la città di nostri studi e tanti altri bei ricordi che hanno fissato la loro dimora permanente nelle nostre rispettive menti e in quelle di tutti gli altri nostri amici di un tempo.

E, a questo punto, devo leggervi il messaggio che l’amico Fernando Chiaromonte, impossibilitato ad intervenire  qui stasera, mi ha pregato di parteciparvi:

“TUTTI SIAMO EREDI DELLA STORIA. L’ATTACCAMENTO ALLE NOSTRE RADICI, LA CONDIVISIONE DELLE TRADIZIONI DEL NOSTRO PAESE NON SOLO LA AVVALORANO, MA LA MIGLIORANO. I GIOVANI SOPRATTUTTO CONTINUINO SU QUESTA STRADA”.

Ringraziamo Fernando, con un applauso, per le belle parole che ha voluto farci pervenire.

Quanto ci sarebbe ancora da scrivere e quante zone inesplorate restano ancora da riportare alla luce, per farle diventare patrimonio comune; sono sufficienti solo pochi indizi, un barlume, una foto, una frase, insomma solo qualche punto di riferimento ed ecco aprirsi, come per incanto, un nuovo filone di materiale prezioso in quella immensa miniera che il nostro passato può ben rappresentare

Nel libro di Alfonso ci sono, ad esempio, alcune foto che accendono immediatamente la lampadina della mia memoria; in particolare quella che ritrae il complesso bandistico di Poggio Imperiale “Gran Concerto Musicale Giuseppe Verdi” istituito nell’anno 1927 e diretto dal Maestro Benedetto Virgilio Colella.

Ebbene, tra i diversi musicisti in divisa, camicia, farfallino e berretto d’ordinanza c’è anche mio padre Francesco Bove, classe 1909, che imbraccia la sua tromba.

Era, all’epoca, un giovanissimo componente della banda musicale, di 19 anni, che suonava il  flicorno soprano, proprio quella tromba visibile nella foto.

Ma, v’è di più, nella stessa foto è ritratto anche il papà di Alfonso, Michele Chiaromonte, anch’egli giovanissimo componente della banda, di soli 17 anni, con il suo sassofono.

Quindi, anche i nostri rispettivi genitori avevano un interesse comune, che li accomunava a tanti altri giovani del paese, l’interesse per la buona musica. E si racconta che facevano faville; la Banda era molto rinomata non solo in paese ma che fuori dal suo circondario.

Quando mio padre smise di suonare, regalò il suo strumento musicale al nipote Lorenzo, figlio di suo fratello maggiore Nicola.

Ma oltre alla foto, il libro di Alfonso ci regala anche una simpatica poesia dialettale dal titolo “A bbànne”, dedicata specificatamente alla nostra storica Banda poggioimperialese.. E di questa poesia mi ha particolarmente colpito il verso: “E ké pézz’a mméz’a chjàzza !”, che ci riporta alla memoria un momento topico per Poggio Imperiale e soprattutto per i giovani tarnuise vissuti in quegli anni.

Un grande fermento e una passione irrefrenabile per la musica stavano travolgendo i cuori e le menti dei nostri paesani del tempo, e si andava così concretizzando l’idea di formare e costituire un Concerto Bandistico, attingendo alle risorse locali, soprattutto tra i giovani, che mostrarono fin da subito interesse e impegno del tutto inattesi. Siamo negli anni 20 del secolo scorso, quasi un secolo fa, e la passione dei singoli musicisti, per lo più artigiani, che suonavano strumenti come il mandolino, la fisarmonica, la chitarra, per puro diletto personale, li portò a riunirsi saltuariamente per fare dei “concertini” alle feste di matrimonio, ma anche “serenate” alle innamorate, a richiesta dei rispettivi pretendenti; ogni occasione era buona per fare musica e ballare, e quindi … musica alle feste di fidanzamento (parendate), carnevale, feste patronali, ecc. Fu così che nel 1927 venne istituito a Poggio Imperiale il Gran Concerto Musicale “Giuseppe Verdi”, al quale notevole impulso venne dato dal geniale Maestro Benedetto Virgilio Colella, che lo diresse egregiamente, e tanti furono i giovani dell’epoca accumunati dall’amore per la musica; ma singolare si dimostrò l’entusiasmo e la partecipazione dell’intera popolazione. Poggio Imperiale visse in quel periodo momenti di gloria, non solo in paese ma anche al di fuori del suo territorio. La popolazione conosceva bene i titoli delle opere in repertorio e le rispettive arie che venivano suonate … “U Trovatore, a Traviate, l’Elisir d’Amore, a Cavallèrije Rusticane, u Rigolètt’e po’ fernévene sèmbe ki marcètte” … come recita la poesia di Alfonso, il cui punto di forza (mi verrebbe voglia di dire: “La vera scena madre”) è racchiuso nel verso: “E ké pézz’a mméz’a chjàzza !”. Alla lettera significa: “E che pezzi in mezzo alla piazza”, ove “pezzi” sta per opere liriche suonate in piazza dal nostro Concerto Bandistico. Si tratta di un’espressione trionfalistica e piena di compiacimento per la bravura del musicisti e del Maestro, per la bellezza e l’intensità della musica e delle opere in se stesse, ma soprattutto per il proprio amato paese, per Tarranòve. E’ dunque un verso pieno di significato profondo, che ci parla dell’orgoglio di un popolo unito dalla musica, in un momento particolare della storia italiana e mondiale: il ricordo della prima Guerra Mondiale era ancora vivo, le condizioni di vita in genere erano piuttosto precarie e il Fascismo stava prendendo corpo e consistenza. Un verso forte, elegante e potente, con una sonorità straordinaria; come tre colpi di piatti in sequenza  …  ké pézz  …  ’a mméz’  …  a chjàzza !

Al culmine dell’esecuzione di un’opera lirica, allorquando tutta l’orchestra è protesa al massimo sforzo, nell’armoniosa combinazione e fusione dei suoni di tutti gli strumenti musicali, ecco i colpi di piatti … il momento magico dell’intera esecuzione; lo spettatore si smarrisce, esulta, si commuove … i battiti del cuore aumentano, il sangue sale alla testa … un’ubriacatura di entusiasmo … l’applauso!

Ebbene, quest’ultimo impegno di Alfonso aggiunge un nuovo tassello alla ricerca storica e dei costumi di Poggio Imperiale, contribuendo a conservare e a sviluppare l’amore per la conoscenza e la diffusione della memoria del nostro passato, patrimonio indispensabile soprattutto per le nuove generazioni. Un libro  veramente piacevole che si legge tutto d’un fiato, talmente interessanti sono gli argomenti trattati e proposti al lettore, che vanno ad integrare significativamente quanto sinora già scritto dall’autore sulle origini di Poggio Imperiale, la sua storia, la sua gente e le sue tradizioni.

E, per finire, due parole vanno spese – a buona ragione – anche a favore di chi offre a Poggio Imperiale, ormai già da parecchi anni, l’opportunità di poter divulgare la cultura, in senso lato, attraverso la pubblicazione dei vari libri, testi, elaborati, dizionari e quant’altro, prodotti in sede locale,  e non solamente in tale estensione. Si tratta della casa editrice “Edizioni del Poggio” che, con il passare degli anni, sta imprimendo sempre con più forza  il proprio know-how, dimostrando capacità e competenza in materia, anche attraverso interessanti e lodevoli iniziative di promozione ed incentivazione rivolte soprattutto ai giovani scrittori. All’amico Peppino Tozzi i complimenti, quindi,  per tutto quello che ha fatto sinora, con gli auguri più sinceri per un futuro foriero di traguardi sempre più ambiziosi, per la sua azienda e per il primato della divulgazione ed affermazione della cultura in Italia e nel mondo.

RELAZIONE DI GIUCAR MARCONE

Giucar

Poggio Imperiale, 16 aprile 2016

PRESENTAZIONE “NA ZENNE DE TARRANOVE”

di Alfonso Chiaromonte

Esiste, oggi, nella nostra provincia un notevole interesse per la storia locale grazie all’impegno di pochi cultori di storia patria, di tradizioni locali, di dialetti o vernacoli, di aspetti folcloristici. Tra questi cultori troviamo il nostro Alfonso Chiaromonte che ci ha regalato questa sua nuova fatica “Na zenne de Tarranove”, frutto di un intenso lavoro di ricerca dettato da una profonda passione per la propria terra. Si è detto che “la storia di una comunità debba essere studiata e indagata nel complesso delle sue caratteristiche, dando vita così a una indagine complessiva, senza trascurarne alcun aspetto, proprio come ha fatto il nostro Chiaromonte, perché trattandosi di micro-storia, si entra con più attenzione nei particolari, in quei dettagli che la macro-storia, a volte, volutamente ignora. E’ il caso delle vicende che seguirono alla unità d’Italia relative alle piccole comunità, ignorate o falsate dagli storici per giustificare o nascondere determinati comportamenti, ma non mi dilungo sotto questo aspetto.

Il libro di Chiaromonte possiamo considerarlo una piccola enciclopedia su Poggio Imperiale. Non solo storia, ma anche quadri di vita cittadina, descrizioni della vita domestica e del paese, gli antichi mestieri, i giochi dei ragazzi e poesie in vernacolo.

Un libro che si presta molto bene ad essere portato nelle nostre scuole. L’insegnamento della storia locale nelle scuole, pur essendo un diritto dello studente, solitamente non viene neppure scalfito, causa la mancanza di tempo lamentato dai professori.

Risvegliare nei giovani l’interesse per le proprie origini, risvegliarne l’orgoglio di essere tarranovesi potrà produrre in loro nuovi stimoli, nuove curiosità, nella speranza che qualcuno, raccogliendone il testimone, possa poi incamminarsi sulla strada tracciata da Alfonso Chiaromonte.

Poggio Imperiale da decenni sta dedicando alla cultura un impegno inimmaginabile, in proporzione al numero dei suoi abitanti superiore a quello di altri comuni più grandi. Poggio Imperiale ha nel suo seno un casa editrice “Edizioni del Poggio” che ha al suo attivo circa 150 volumi, e fra questi, l’ultimo in ordine di tempo, “Na Zenne deTerranove” a cui l’editore Peppino Tozzi ha dato una veste grafica eccellente, un abito su misura per invitare i nostri concittadini a leggerlo. Ecco, per sostenere una casa editrice come la nostra, tra l’altro organizzatrice del famoso premio internazionale Emozioni in bianco nero, per incoraggiare la sua “missione” è opportuno che i libri che stampa siano venduti: per invogliare uno scrittore a continuare le proprie ricerche è importante che il libro sia diffuso. Purtroppo molti non immaginano il lavoro che sta dietro un libro pubblicato, sarebbe opportuno fare un seminario sulla editoria locale per spiegare ai nostri concittadini il lavoro, l’impegno, i giorni sottratti alla famiglia per consegnarvi un prodotto, se così vogliamo chiamarlo, perfetto ed elegante. La materia prima è lo scrittore. Il saggista e

ricercatore Alfonso Chiaromonte conosce molto bene i sacrifici e, immagino, le notti perse, per realizzare questo suo nuovo lavoro.

Un saggio che parte dalla fine del ‘700. Da non molto tempo se si considerano le antiche origini di altri paesi anche limitrofi. La nostra storia non affonda nel mito come per altre realtà della nostra provincia, ma è molto più realistica sia per la giovane età che ha il nostro comune, sia per la ricchezza di documenti che i nostri storici portano di volta in volta alla luce. Ma ci sarà ancora da lavorare (vero Chiaromonte?) per trarre dal buio altri aspetti della nostra micro-storia. Certo che hai fatto bene a dedicare ai tuoi nipotini questo libro anche perché per i tuoi studi e le tue ricerche avrai sottratto certamente a loro un po’ del tuo impegno di nonno.

Talvolta mi viene da considerare Alfonso ora un poeta, ora un pittore. Leggete con attenzione il capitolo “Ho sognato il mio paese”, un paese da favola? No, il proprio paese, il suo paese, ricco di immagini, di suggestioni, di ricordi: si percepiscono persino odori dimenticati, dove il cibo che si consuma quotidianamente è molto povero, ma il profumo della cucina è buono ed anche i pasti sono genuini e gustosi.

Ispirandosi ai racconti dei nonni Alfonso ci descrive con ricchezza di particolari la preparazione del pane, la preparazione della salsa ed altri aspetti di una comunità che affrontava quotidianamente le difficoltà della vita con serenità e sacrificio.

Al lavoro dei campi non andavano solo gli uomini, ma anche le donne che non facevano mancare il loro sostegno, non solo

morale, ai propri congiunti. Nel leggere le descrizioni dello scrittore è come assistere a un film in bianco e nero del nostro passato, a volta ci fanno sorridere, ma il più delle volte commuovere per il passato che fu. Un passato senza diavolerie elettroniche, oggi ritenute tanto necessarie, portato avanti con la forza delle braccia, del sacrificio e dell’arguzia contadina.

E i giochi di una volta! Quanta semplicità, non costavano niente, nascevano dalla fantasia dei ragazzi. Non pesavano sulla economia di una famiglia come accade oggi. Bisognerebbe ritornare a questo nostro passato non molto lontano, ma così distante dalla nostra quotidianità! Riviverlo attraverso la lettura delle pagine di Alfonso Chiaromonte può portarci a riflettere sul nostro ieri, sul nostro oggi, e sul nostro domani, è un invito a interrogarci se un domani potremo definirci ancora cittadini di Poggio Imperiale, o di un villaggio globale perfetto e la perfezione mi sgomenta.

Il libro di Chiaromonte stimola la nostra memoria ci porta a ripensare sul come eravamo, ci offre come in una carrellata gli antichi mestieri di una volta: i carlentini addetti alle fosse del grano, gli strilloni, ovvero quelli che leggevano un bando o facevano annunci per le strade del paese, il barbiere, lo stagnino, u seggiare, ovvero il costruttore di sedie, il carbonaio, il sellaio, il fabbro, il venditore ambulante: la maggior parte di questi lavori sono scomparsi o modificati col passar tempo, ingoiati dall’avvento di nuovi modi di produrre e di presentarsi alla potenziale clientela.

Nu zenne de Tarranove, l’Amarcord di Alfonso Chiaromonte, è completato da alcune poesie e filastrocche in tarranovese. Momenti di vita cittadina, come scrive l’autore, evidenziati in pochi versi, che testimoniano il vissuto di un tempo che ormai sta scomparendo o è scomparso del tutto.

Ho parlato di amarcord, il capolavoro di Federico Fellini non a sproposito. Il libro è intriso di una nostalgia struggente per il tempo passato, un tempo perduto che non tornerà mai più, di valori semplici ma fondamentali che sono stati la colonna sonora della vita dei nostri progenitori. Oggi tutto è rimesso in discussione dalla piovra che conosciamo sotto il nome di progresso. Ecco perché fanno un gran bene alla nostra anima le poesie di Alfonso Chiaromonte, un poeta che dipinge con la penna offrendoci genuini quadri di un passato che è rimasto nei cuori dei nostri anziani e, sinceramente, mi auguro, che i giovani possano recuperarlo nella memoria e conservarlo come reliquia di coloro che hanno faticato tanto col sudore della fronte per consegnarci un nuovo modello di società, vorrei poter dire più a misura d’uomo; ma la realtà è molto diversa, abbiamo giovani più preparati di ieri, ma se il sacrificio e il lavoro fanno l’uomo, oggi con i tempi che corriamo, col lavoro che manca, mi chiedo quale sarà la società di domani. Ben fa Alfonso Chiaromonte a scoperchiare la pentola del passato e mi auguro che continui a farlo. I giovani hanno bisogno di qualcuno che li aiuti a scoprire la propria identità. Cari giovani non siete figli dell’elettronica, dei smartphone o di altri congegni elettronici, siete tarranovesi e di questa vostra origine dovete esserne fieri. GIUCAR MARCONE

Commento di Anna Maria Cappiello

Complimenti, Alfonso, per l’eccellente disquisizione: sei un oratore magnificente! Mi ha emozionata vederti e ascoltare la tua voce…mi ha affascinata la tua introduzione al libro attraverso un’ esposizione particolareggiata e minuziosa…basata, però, su una terminologia che nel complesso raggiunge “tutti”! “Na zenne de Tarranòve” è un angolo di Poggio Imperiale che “merita” di “essere vissuto” da tutti…e solo un linguaggio chiaro e semplice fa sì che ognuno possa captare quanto di bello ci sia nella tua “narratio”! Grazie per aver condiviso una serata che ci parla anche di te…che ci mostra un uomo dall’animo e dall’aspetto elegante…così come traspare attraverso un monitor!!! Onorata di essere seduta in prima fila in questa occasione ti auguro di continuare a percorrere il tuo iter con la passione che si evince da questo video! Anna Maria

CONSIDERAZIONI SULLE PUBBLICAZIONI DI

 Valerio Chiaromonte

Ho ricevuto il libro e ti rispondo solo dopo averlo letto. Col ringraziarti ti rinnovo
i miei complimenti per l’ accuratezza, la tenacia e la diligenza con la quale coroni
le tue fatiche e che vanno anzitutto evidenziate. Lodevole esempio di amore per
la propria terra, serio e composto, custode tenace di un valore che è essenza della
nostra stessa vita. Bravo davvero.
Dall’ insieme delle tue pubblicazioni, tutte dedicate alla Capitanata e al suo popolo,
con particolare riguardo a Poggio Imperiale, ho notato che hai privilegiato:
– l’ aspetto religioso, in S. Placido Martire, la via dei Santuari e Le tradizioni Popolari;
– l’ aspetto geografico in Dalla foce del Fortore a Torre Mileto o socio-geografico
in Lesina e il suo lago;
– l’ aspetto socio-storiografico in Da fattoria a Poggio Imperiale, Poggio Imperiale,
note di Storia sociale e religiosa e la Capitanata tra Ottocento e Novecento.
In tutte queste opere si parla di “gente, popolo” con le proprie credenze ( di origine
pagana o cristiana ) e nel loro contesto socio-economico, quindi come “gruppo o
collettivo”, ma mai “uti singuli”. Ben è vero che si parla anche di singoli personaggi
(tra cui nostri comuni antenati, come in Note di storia e Capitanata tra  Ottocento e
Novecento), ma visti come icone in un contesto storico, simulacri, non persone.

COMMENTO DI FLAVIA VIZZARI

tra sacro e profano nella Capitanata
Anno di edizione il 2011. II edizione anno 2013.

Carissimo Alfonso, è stato come intraprendere un viaggio affascinante leggere il tuo libro, che sicuramente adesso che ho finito di leggerlo, riprenderò dall’inizio a rileggerlo ancora.

Le tradizioni popolari tra sacro e profano nella Capitanata, mi hanno riportata al mondo della mia fanciullezza, alle cose apprese in quanto raccontate dagli anziani, e che per me, che vivo ed ho sempre vissuto in Sicila, sono uguali in molti aspetti. 

Trovo molto interessante il tuo averne fatto un libro, da conservare per i posteri, e da far leggere ai nostri giovani, perché riscoprire le proprie tradizioni, pur con le varie superstizioni che hanno, a mio parere, sempre all’origine motivazioni significative , è fondamentale.

Oltre ad avere rivissuto momenti dell’infanzia, nel leggere il tuo testo, ho meditato su tante abitudini che ancora oggi persistono nella mia famiglia e delle quali ne disconosco il significato, e ciò mi porta ad affascinarmi ancora di più alle nostre tradizioni e agli aspetti che le hanno condizionate.

Come non ricordare la Cuddùra di Pasqua … sia comprata nei panifici che realizzata in casa dalla nonna che le uova fresche prese al pollaio… o la nonna che iniziava a farti segni sul pancino, mormorando chissà quali frasi, quando da bimba accusavo piangente dei mal di pancia. Poi da sposata, invece, era mia suocera ad armarsi di piatto e olio, nei miei momenti di emicrania, e ricordo che in una notte di Natale volle insegnarmi la preghierina miracolosa, ma a cui io non ho dato l’essenzialità guaritrice in cui ella credeva, e non l’ho mai praticata nel tempo.

Carissimo Alfonso, sarebbe una bella avventura ricercare similitudini tra le varie regioni ed investigare ulteriormente sulle abitudini comuni e i significati?  Le origini? Come si sono talvolta modificate da regione a regione?

Ad esempio, citi il piatto di fave come tradizione del giorno di S.Lucia, invece da noi in Sicilia, il legume si trasforma in cece, che ancora oggi, io puntualmente metto in ammollo la sera prima del 13 dicembre; oppure il segno d’abbondanza per l’anno nuovo che da voi è l’uvetta, da noi è la lenticchia, e più se ne aumenta la facilità dell’abbondanza  se più ne mangi e soprattutto direttamente con le mani, di modo da prenderne di più e più in fretta. O il piatto da noi tradizionale che si prepara alla festa di San Giorgio al paese di Briga Superiore (ME) di paddi d’’a Briga (frittelle di carne) , o ancora i panini ‘i Sant’Antoniu.

Altre superstizioni uguali di sventure varie e negatività, per cadute inopportune di sale e olio, o disgrazie per sette anni alla rottura di specchi, o come tu scrivi, per la caduta delle forbici.  O le grandi sfilate e processioni, dagli alberi della cuccagna ai falò, dalla S.Pasqua, al Carnevale e, ho rivissuto tra le tue pagine momenti che rivivo ancora oggi il giorno del Corpus domini, giorno in cui il paese si addobba con coperte e tovaglie ricamate e tappeti e le foto che mostrano nel tuo libro i vostri sabbùleke nulla hanno di diverso dai nostri altarini adornati di piante e di fiori, ove si sosta in processione con il S.S. Sacramento.

E’ stato davvero un onore per me che tu abbia scelto un mio piccolo disegno da inserire in questo importante e significativo tuo ulteriore lavoro.

Grazie Alfonso! Flavia.

COMMENTO di ANTONIETTA ZANGARDI

Insostituibile è il fascino ed essenziali le suggestioni che le tradizioni popolari ci trasmettono, in un mondo globalizzato come il nostro, che spesso cancella le identità ed annulla il senso di appartenenza.

La ricerca delle proprie radici è un dovere da parte nostra e trasmettere ai più giovani quest’esigenza significa amare la propria terra e ricercare nel passato quelle motivazioni che ci permettono di continuare ad amarla, perché spesso siamo scoraggiati a causa della massificazione e della perdita di memoria.

Ben ha fatto Alfonso Chiaromonte a fissare sulla carta quelle tradizioni e quei riti, gli usi e i modi di fare e di pensare che spesso il tempo oblia e le novità dell’oggi cancellano.

Il ritmo del tempo era scandito dalle feste religiose e le Parrocchie fissavano riti simbolici che affascinavano e univano in maniera indelebile. Anche la scuola ha sempre assolto questo compito ed è stata fulcro di tradizioni e di studio del passato con ricerche, pubblicazioni, progetti miranti alla tutela ed alla salvaguardia del patrimonio culturale della nostra comunità.

La gente della Capitanata porta e racchiude in sé tesori di tradizioni, modi di pensare, usanze e riti che lo scorrere del tempo non potrà travolgere. I nostri antenati hanno saputo ben assemblarle trasmettendole integre a noi che oggi sentiamo l’esigenza di ricordarle ai più giovani, per non vederle perdute per sempre.

Bravo Alfonso, sono stata ben lieta di rituffarmi e di ricercare nella mia memoria tutti i riti, tra sacro e profano e tutte le manifestazioni legate alle festività religiose della nostra comunità e ho riletto con piacere quelle dei paesi del circondario che sentiamo nostre.

Pagine particolari quelle sulla cucina un crogiuolo di usanze messe insieme ed unificate nella nostra bella Capitanata, terra dal fascino senza tempo dove mare, monti e pianura insieme ci donano quel dolce clima che tutti ci invidiano.

Antonietta Zangardi

Commento al Dizionario dialettale “U Tarnuése”

U Tarnuése di Alfonso Chiaromonte

Presentato a Poggio Imperiale il dizionario del dialetto ‘U Tarnuése’ di Alfonso Chiaromonte

martedì 10 luglio 2007 ore 08:50
Splendida serata culturale nella pineta attigua alla sede dell’Associazione per la promozione sociale del Territorio Progetto 2000 di Poggio Imperiale, in cui è stato presentato il Dizionario del dialetto ” U Tarnuése”, dell’autore prof. Alfonso Chiaromonte per i tipi del Poggio.
La manifestazione si è svolta con il patrocinio della Regione Puglia, della Provincia di Foggia e del Parco Nazionale del Gargano. Folta è stata la partecipazione di pubblico, appassionato di storia locale, numerosa la presenza dei giovani.
Gli interventi sono stati tutti di qualità ed interessanti. Ha aperto la serata l’autore che ha illustrato ai presenti le tecniche seguite nella catalogazione dei termini dialettali ed il lavoro certosino per la compilazione dei vocaboli.
E’ seguito l’intervento del Sindaco di Lesina, dott. Giovanni Schiavone in rappresentanza d’ell’Ente
Parco del Gargano, che ha sottolineato come le piccole realtà locali devono essere incoraggiate e, notando l’assenza degli amministratori locali, ha lanciato l’idea di concertare interventi per la salvaguardia delle tradizioni e la tutela del patrimonio culturale.

Brillante l’intervento storico della prof.ssa Antonietta Zangardi, studiosa di storia del territorio e appassionata delle tradizioni e della cultura locale. La professoressa ha sottolineato come la promozione della cultura debba essere alla base di qualunque organizzazione politica e che il fine di questo lavoro sia il bisogno di racchiudere in un dizionario dialettale per conservare il patrimonio storico, linguistico e di saggezza popolare che rischierebbe di estinguersi. Dopo l’intervento di due amici dell’autore avv. Vittorio Nista e l’avv. Leonardo D’Aloiso che hanno ricordato momenti di vita paesana ed hanno presentato la figura dell’utore, da sempre amante del vernacolo,è intervenuto il Presidente dell’Associazione Progetto 2000 Primiano Braccia. La serata è proseguita “dulcis in fundo” con l’autorevole intervento del prof. Giuseppe De Matteis dell’università di Foggia e di Pescara, il quale ha sottolineato come quest’opera fornisce al dialetto un vero alfabeto fonetico, basato sulla corrispondenza biunivoca tra suono e simbolo grafico. L’utilità di questo dizionario è nella diffusione della conoscenza della lingua dialettale di Poggio Imperiale. Il lavoro di archiviazione, compiuta dal Chiaromonte, diventa l’unico mezzo cui poter attingere in futuro.
Molto piacevoli gli intermezzi musicali del soprano Colucci Francesca e professionale la conduzione del coordinatore e presentatore Tonio Toma, giornalista radio – televisivo.

COMMENTO AL DIZIONARIO

di Lorenzo Bove

Carissimo Alfonso,

faccio seguito alla telefonata di ieri pomeriggio con la quale ti ho comunicato che, per sopraggiunti e coincidenti impegni professionali, non mi sarà possibile partecipare alla presentazione del tuo nuovo libro, per esprimerti il mio personale e più vivo compiacimento per l’importante opera realizzata, ma ancor prima per la lodevole iniziativa da te intrapresa, che questa volta si proietta in una dimensione ben diversa rispetto ai libri finora scritti e pubblicati. Non si tratta più di offrire al lettore tarnuése ulteriori tratti di storia del nostro paese o di svelare nuovi aspetti del passato ancora poco conosciuti; ora ti sei cimentato in qualcosa di geniale: la realizzazione di un vero e proprio Dizionario, il Dizionario del nostro dialetto.

Hai voluto, dopo una lunga, attenta ed oculata ricerca, fissare i punti salienti della nostra parlata per evitare che il tempo la potesse condurre inesorabilmente nell’oblio.

Immagino che la ricerca non sia stata agevole proprio perché molte parole dei nostri avi sono cadute in disuso a causa della tendenza ad omogeneizzare i nostri comportanti ed il nostro linguaggio in relazione ai modelli che ci vengono giornalmente proposti dalla televisione, dal cinema, dalla moda e dalla carta stampata.

Hai voluto così tracciare un solco, quale novello Romolo, per circoscrivere intorno al nostro paesello i limiti della nostra identità e quindi della nostra riconoscibilità.

E tutto ciò non sicuramente con l’intento di erigere steccati o prefigurare divisioni – in un modo che tende invece alla globalizzazione e dove qualsiasi forma di isolamento è da ritenere deleteria – ma, piuttosto, per valorizzare la variegazione dei dialetti come patrimonio di conoscenza e dunque come opportunità per la loro divulgazione.

Con la realizzazione del Dizionario, Tarranòve può ora ben dire di avere finalmente la sua lingua scritta e questo grazie a te e alla perseveranza con la quale hai cercato di interpretare il desiderio, a volte non espresso, dei tanti tarnuíse che sentivano interiormente il bisogno di mantenere vivo l’interesse intorno alla nostra parlata.

La tua opera non deve però rappresentare la conclusione di un percorso, ma solo l’inizio di un lungo cammino traguardato ad obiettivi sempre più ambiziosi, nella ricerca e difesa delle nostre origini, come patrimonio culturale da diffondere a guisa di faro per i giovani e per le future generazioni.

Con fraterno affetto

Lorenzo.

Commento al libro “san Placido M.”

“Complimenti e congratulazioni all’autore per un testo che costituisce un’esposizione ampia, completa e storicamente corretta su San Placido Martire.
Finalmente una biografia sul Santo Patrono di Poggio Imperiale e uno studio serio, documentato e dettagliato di un lavoro fatto da un nostro concittadino che si mostra ancora una volta uno studioso convincente….”
L’autore nel libro si limita a raccontare i momenti più salienti della vita del Santo, così come è stato tramandato, facendo ogni tanto qualche accenno alla storia, che sta incuriosendo gli studiosi di questo secolo. Essi parlano di San Placido non come di uno, ma di due personaggi, fusi da un monaco benedettino, Pietro Diacono, agiografo del XII secolo. Al di là di ogni dissertazione storica o disquisizione critica quello che conta è sapere chi è San Placido. Un Santo giovane con una personalità forte e robusta, un giovane che ha preso la forza dalla sua gioventù e dalle virtù acquisite alla scuola di San Benedetto. Nella famiglia benedettina, infatti, la vita spirituale dei monaci è un’emanazione della vita stessa dell’abate, padre e maestro, alla cui immagine e somiglianza essi si sono formati.

Lesina e il suo lago

Dopo la trilogia su Poggio Imperiale: DaFattoria a Poggio Imperiale, Lucera 1997; Poggio Imperiale: note di storia sociale e religiosa, Foggia 1999; La Capitanata tra ottocento e novecento, Poggio Imperiale 2002, Alfonso Chiaromonte non poteva non approfondire ed ampliare l’aspetto territoriale, lagunare e storico di ciò che era alle origini di Poggio Imperiale, cioè Lesina, di cui, pur se marginalmente, se ne era occupato nelle opere citate.
La singolare natura del luogo e la copiosità del lago resero Lesina abitabile sin dalla preistotia, ricca e felice durante tutto il periodo romano, estesissima e fiorente contea nel Medio Evo fino a quando decadde e, donata all’Ospizio della Santa Casa dell’Annunziata di Napoli, fu, prima, venduta al principe di Sant’Angelo dei Lombardi don Placido Imperiale e, poi, vessata dal figlio di questi, Giulio II, e dai nuovi signori e padroni del lago.
E fu proprio la posizione di questo paese, tutto immerso nelle acque del lago omonimo, la causa di lotte titaniche che il lesinese dovette combattere per affermare il prorpio diritto alla vita.
Il lesisene ha dovuto, nei secoli, sempre lottare. Lottare contro le calamità climatiche, contro la carestia, contro la malaria,  contro le avversità politiche, contro i soprusi dei baroni e padroni ed è divenuto, per forza di cose, d’indole pugnace, libertario, geloso di quel lembo d’acque quasi stagnanti, esalanti nocivi miasmi e fonte, spesso di morte e che, pur tuttavia, garantirono la sopravvivenza e costituirono la rinascita di un popolo che non volle arrendersi, soccomberre, scomparire.
La via dei Santuari, via sacra langobardorum
Non è presunzione considerare il Gargano come un unicum, anche per la sua religiosità che affonda le radici nella notte dei tempi. Il sentimento religioso delle nostre genti era testimoniato dalla presenza di lòuoghi di culto, dedicati a divinità, la cui eco richiamava visitatori in cerca di responsi. Il Cristianesimo estirpò le resistenze pagane, anche quelle più tenaci, e la dimensione del sacro raggiunse culmini elevati tanto che la Montagna, su cui cadde il prodigio delle apparizioni Micaeliche, fu venerata dalle folle di pellegrini che, provenienti dalle contrade più disparate, percorrevano i malagevoli sentieri lungo i decloivi garganici per dimostrare la lro fede al Principe delle Milizie Celesti.
Il presente lavoro, frutto di una meticolosa ricerca d’archivio di A. Chiaromonte, si rivela un ottimo mezzo per ripercorrere gli stessi sentieri praticati un tempo dai pellegrini e una guida insostituibile per il turista di oggi che intende conoscerne la storia. Il Chiaromonte propone un pio pellegrinaggio per la via dei Santuari: Santa Maria di Ripalta, San Nazario Martire, Santa Maria di Stignano, San Marco in Lamis,  San Matteo, San Giovanni Rotondo, San Michele Arcangelo, Santa Maria di Pulsano, Santa Maria di Siponto, San Leonardo, La Madonna dell’Incoronata.  Sembra una litania di santi, invece è soltanto un itinerario religioso, che serviva e serve a rafforzare la fede attraverso i luoghi sacri dei Santuari e dei Monasteri, che sono stati nel passato, e, forse, lo sono ancora oggi, ancore di salvezza per un popolo segnato dalla sofferenza, per il quale “il Santo è uno di casa”.

Dizionario del dialetto di Poggio Imperiale “U Tarnuése”

U Tarnuése di Alfonso Chiaromonte

Il dialetto è il veicolo per riportare alla memoria il patrimonio dei ricordi, sui quali è piacevole soffermarsi.
Questa opera riporta numerosissimi termini ed esempi dialettali e presenta ciascuna voce seguita dalla trascrizione fonetica per permettere di avvicinarsi il più possibile alla comprensione e alla corretta pronunzia del vernacolo di Poggio Imperiale: operazione questa sicuramente valida per la conservazione delle tradizioni popolari e della Koinè locale, patrimoni culturali della civiltà storica e culturale della zona di Lesina e Poggio Imperiale. Spesso si usava una sola parolaper indicare uno stato d’animo. Per esempio, in prossimità delle fetse del Santo Patrono, i giuvenètte, che indossavano un abito nuovo, raccontavano le nonne, ce lazzejàvene, per intenderci, si facevano sotto, perché felici per avere un abito nuovo e perché potevano essere ammirate dai loro coetanei. Altre volte, invece, si ricorreva a delle espressioni per indicare un solo termine. Cè fatte mal’a l’ossere du vracce, indicando un po’ tutto il braccio, non sapendo distinguere l’omero dall’ulna o dal radio, perché non sapevano, forse, nemmeno cosa fossero. Così pure per indicare i capogiri i nonni dicevano: me vènn’i scud’annanz’a l’occhje.

E’ importante catalogare i termini, i modi di dire autenticamente dialettali e che rischiano l’estinzione, stando attenti a non rendere dialettali termini italiani, come mi è capitato sentire da alcune donne: Songhe iut’a kkattà l’albekòkke, che è una brutta copia dell’italiano albicocca, il cui termine dialettale giusto è llebbèrgene.