Le nostre tradizioni

L’anima popolare esprimeva tutta la sua umanità e tripudiava di gioia nelle manifestazioni a carattere religioso o commemorativo di eventi storici.

Le feste cicliche e quelle occasionali del popolo rappresentavano esperienze vissute, temi fondamentali della vita umana e perciò profondamente veri. Eccone alcune riproposte con piccoli video, per ricordare ai concittadini quei momenti particolari e singolari della vita.

I fuochi dell’Immacolata e il ceppo di Natale hanno una caratteristica particolare, perché entrambi simboleggiano la distruzione del peccato originale e il simbolico consumarsi del vecchio anno, con tutto il male che si era accumulato. La vigilia dell’Immacolata vede fin dal primo pomeriggio un continuo movimento di giovani, che trasportano legna e frasche nei diversi rioni del paese. Si preparano i falò, accatastando quanto più legna possibile, per costruire un mucchio più alto di un altro. Verso l’imbrunire, quando cessava la funzione religiosa e la statua della Madonna Immacolata girava in processione per le vie del paese, si accendevano i falò (i foke da Kungètte).

Il Natale è sentito come la festa della famiglia per eccellenza. Le massaie cominciano a preparare alcuni giorni prima i dolci tradizionale: nèvele, cav’zun’e scarpèlle, fritti in un grande tegame a sartajene, sul fuoco del camino. Dalle sere precedenti la vigilia di Natale, negli anni addietro, nonni e nipotini giocavano a tomola, al gioco dell’oca, a carte. Per l’occasione le mamme conservavano un po’ di fagioli che dovevano servire a riempire le cartelle della tombola. Attorno al camino i nonni raccontavano leggende sul Natale ed insegnavano canti natalizi.

A Gerusalemme ci è arrivata la notizia che cercavamo, portata dai dottori della Legge: il re dei Giudei non doveva nascere lì, ma in una cittadina di nome Betlemme. Così siamo partiti da Gerusalemme ed ecco di nuovo la stella comparire sopra le nostre teste. Così ora siamo vicinissimi a Betlemme; nel giro di poco tempo la raggiungeremo. Siamo molto emozionati: chi sarà questo re dei Giudei?

Questo è il racconto del viaggio che abbiamo compiuto per raggiungere questa terra, un lungo viaggio che dall’Oriente ci ha condotto fino qui, in questa notte di gioia e di trepidazione. Noi siamo certi, è qui che è nato il Salvatore; a Betlemme ci ha guidato una stella, luminosa nell’aere e nel cielo blu della notte. Chiaramente ci indicava quale direzione dovevamo seguire, così fulgida da non lasciare perplessità nel nostro animo…..

Un vecchio proverbio afferma che il freddo, quello che fa battere i denti, dovrebbe arrivare intorno a metà gennaio e durare poco: “Sant’Antonio, la gran freddura; San Lorenzo la gran calura; l’una e l’altra poco dura”. Si riferisce naturalmente a Sant’Antonio Abate la cui festa cade il 17 gennaio e a San Lorenzo del 10 agosto.
D’altronde un altro proverbio ricorda che: “Il barbato, il frecciato, il mitrato e il freddo se n’è andato”.

Per porre rimedio a quel lungo periodo d’immobilità, si raccontavano fiabe e leggende davanti al focolare, o nelle calde stalle, e si faceva festa, ballando, cantando, scherzando, bevendo il vino appena imbottigliato e consumando le scorte invernali di grasso, specialmente del maiale macellato   a dicembre per Santa Lucia, oppure subito dopo il Natale: era arrivato il Carnevale, quando appunto, occorreva dar fine ai cibi che poi sarebbero stati vietati durante la Quaresima.

Il Carnevale all’origine indicava proprio il periodo della Quaresima, durante il quale non si sarebbe più mangiato la carne, perché dedicato a penitenze e digiuni. Prima che tale periodo di privazioni cominciasse, bisognava approfittare per fare baldoria.

I giovani di Poggio Imperiale, quelli di Azione Cattolica e non, subito dopo il Natale, la sera e spesso anche la notte si riunivano in un garage per organizzare e poi realizzare il lavoro di allestimento dei carri allegorici, che sarebbero dovuti sfilare per le vie del paese l’ultima domenica di Carnevale. I carri erano molto ammirati ed applauditi non solo dai poggio imperialesi, ma anche dalle numerose persone che affluivano dai paesi vicini.

Carnevale anni 30/40 secolo scorso a Poggio Imperiale

A Poggio Imperiale il Carnevale ha origini molto antiche. Ricordo molto bene che durante il periodo della mia infanzia era rappresentato da personaggi che interpretavano un evento della vita, quale la nascita di un bimbo, il matrimonio, un corteo funebre. In seguito si cominciò ad allestire i primi carri, formati da carretti addobbati con pennacchi, festoni e bandierine, pieni di diversi personaggi vestiti nei modi più strani. Vedevi il dottore vestito con una giamberga nera, che portava in testa un grosso cilindro, al collo un largo solino con svolazzante cravatta bianca, sul naso degli occhiali colorati e intorno al collo un asciugamano. Appariva il frate che offriva tabacco a chi gli era vicino e questuava presso i venditori e i generi alimentari. Non mancavano il vescovo, il prete, il sagrestano, preceduto da ragazzi che suonavano trombe, campane e battevano tanti recipienti di latta. Dopo aver fatto il giro del paese, il corteo si fermava in piazza per benedire il popolo e fare qualche discorso umoristico. Il martedì grasso si formava un caratteristico corteo preceduto da un trombettiere, seguiva il carro addobbato con bandiere e rami d’olivo, e una folla soprattutto di giovani e bambini. Sul carro c’erano una donna, (cioè un maschio vestito da femmina), un uomo sdraiato per mostrare che era molto grave ed il prete. La donna gridava, piangeva, si disperava per la grave malattia che aveva colpito il marito. Il prete fingeva di bere il vino da una bottiglia che aveva in una mano, mentre con l’altra mano intingeva in un pisciaturo (l’orinale) la muscia (specie di scopa per spolverare le pareti) e benediceva la gente che seguiva il carro. Quando il carro giungeva in piazza, si fermava e vi saliva un sedicente dottore, che aveva al panciotto tante medaglie fatte di cortecce d’arancia. Ordinava al trombettiere di suonare per far raccogliere attorno al carro i cavalieri, le altre maschere e la folla dei curiosi, ai quali faceva credere che era un medico celebre e che solo lui poteva salvare il moribondo. La donna piangeva e strillava, ma il medico l’assicurava, fingendo di operare il malcapitato moribondo. Poi apriva le braccia in segno di sfiducia e faceva capire che non era possibile far rivivere quello sfortunato. La serata si concludeva con tanta baldoria, ma non finiva, perché poi ci si riuniva in casa di parenti o amici per continuare la serata con balli e canti e con qualche buon bicchiere di vino.

Negli anni sessanta Poggio Imperiale ebbe i suoi primi carri allegorici, allestiti all’epoca dai giovani dell’Azione Cattolica[1]. Ebbero molto successo, infatti richiamavano in paese tanti forestieri che accorrevano per ammirarli e per divertirsi. Dopo un lungo periodo di pausa si riprese la tradizione del Carnevale Terranovese, gestito nell’ultimo decennio, dagli insegnanti delle locali scuole e dai genitori degli alunni, con la collaborazione della Pro Loco e il patrocinio dell’Amministrazione Comunale.

Ogni anno l’evento carnevalesco era incentrato su un tema diverso, come “La storia o l’Italia a spasso per le vie di Poggio Imperiale”.

L’iniziativa rientrava nel Progetto di Ampliamento dell’Offerta Formativa: “Scoprire il proprio retroterra culturale: usi, costumi e tradizioni della civiltà contadina”. Iniziativa che, per diversi anni, alunni, docenti, genitori e associazioni hanno portato avanti con impegno ed entusiasmo per conoscere, conservare e valorizzare le proprie radici e tradizioni

[1]  Il primo corteo con carri allegorici risale al 1965.

Le processioni del periodo della quaresima si svolgevano in un’atmosfera commossa, irreale, in un silenzio sublime e di contemplazione.

Una processione di Domenica delle Palme
Una processione di Domenica delle Palme

La processione delle Palme, le due processioni del Venerdì Santo: una all’alba e l’altra nel pomeriggio. Partecipavano autorità civili e religiose e la coralità del popolo.

La mattina del Venerdì Santo a Poggio Imperiale si snoda per le vie della città, partendo dalla Chiesa del S. Cuore di Gesù la processione con la toccante effigie della statua della Madonna Addolorata, mentre parte dalla Chiesa di S. Placido M. la statua di Gesù che porta la croce. 

La mattina del Venerdì Santo
La mattina del Venerdì Santo

Dopo aver attraversato diverse strade cittadine, in Piazza Imperiale avviene l’incontro tra Madre e figlio, in un’atmosferta commossa, irreale, in un silenzio sublime e di contemplazione.

Quella più caratteristica, poi, era la Via Crucis vivente

Questi sono alcuni momenti della Via Crucis vivente a Poggio Imperiale. 1° aprile 2012. Il dramma della passione del Cristo si è svolto lungo l’antica via Del Pozzo, oggi via Duca d’Aosta. Un grazie al parroco don Luca De Rosa e all’Azione Cattolica di Poggio Imperiale, sostenuti dai vari gruppi parrocchiali.

a Poggio Imperiale, inizio Processione
a Poggio Imperiale, inizio Processione
Preghiere e Benedizione davanti ad un altarino
Preghiere e Benedizione davanti ad un altarino

Tra le feste più belle voglio ricordare anche quella del Corpus Domini che si svolge durante la stagione dei fiori. In quasi tutti i paesi della Capitanata c’è l’usanza di far pendere dai balconi coperte variopinte con ricchi festoni. E’ una festa che coinvolge molte persone nella preparazione dei Sabbùleke, gli altarini votivi addobbati per l’occasione e, durante la processione, si vede la partecipazione di tutto il popolo di Dio. Questa festa fu istituita nel 1264, per celebrare il miracolo di Bolsena. L’elemento più caratteristico della tradizione popolare, che si innesta nella liturgia ufficiale, è dato dalla preparazione degli altarini, i Sabbùleke, ornati con piante e fiori.

Ricordiamo la processione della Madonna del Carmine. Questa festa è organizzata dai muratori e dai cavamonti locali, i quali, in questo giorno, sono tutti presenti alla Santa Messa solenne e al panegirico. Durante la processione che avviene nel pomeriggio, i muratori e i cavamonti si alternano nel portare a spalle la statua della Vergine Maria, che fanno arrivare in tutti i vicoli e vicoletti del paese.

Ricordiamo ancora la processione della Festa del 5 ottobre, quella dei Santi Patroni.

TRADIZIONI LOCALI DIMENTICATE…

U ciucce bardato a festa
U ciucce bardato a festa

Il ciuccio ha l’aspetto di un asino bardato a festa. Lo scheletro di canne è ricoperto poi di carta colorata e di bandierine. Tra i fori delle canne sono posti mortaretti e bengali. Sulla schiena vi è un buco, dove s’infila la persona (di solito u mute ze moneke), che, giunta in piazza, trottando e sparando molti mortaretti, gira intorno alla piazza, seguito dai più giovani. La gente si diverte e ride. Ogni sgroppata del ciuccio equivale a spari e lanci di bengali. Ora corre, poi rallenta. Ecco che solleva la coda e fuoriesce un petardo, che, intrecciando vari giri nell’aria, s’incendia. La coda sta prendendo fuoco e l’uomo che lo tiene, fingendosi una bestia dolorante per essersi bruciacchiata, corre ancora più forte, facendo uscire a più riprese dalle canne spari di mortaretti. Le riserve si stanno esaurendo. Il ciuccio è ormai vicino all’agonia, anche perché sta prendendo fuoco pure la schiena. L’uomo salta fuori e il ciuccio muore in una vampata che avvolge anche la testa, tra lo sparo degli ultimi mortaretti.

LA CALATA DEGLI ZAMPOGNARI

Gli zampognari che arrivavano dalla Basilicata e dall’Abruzzo, con le zampogne e la cornamusa andavano per le vie suonando nenie, care non solo ai fanciulli ma anche agli adulti. Essi diffondevano per le vie della città e infondevano, specialmente nel cuore dei bambini, una gioia indicibile. Queste nenie dolcissime e molto care predisponevano le persone alla grande festa del Natale e richiamavano tutti alla fratellanza, alla pace, all’amore.

Al loro passaggio le donne apparivano sulla soglia delle case per ascoltare le arie natalizie, mentre i ragazzi li accompagnavano di via in via.

Suonavano anche: Mó vène Natale, stènghe sènza denare, me facce u létt’e me vaje a kukàEra il ritornello di un’antica canzone del Sud cantata un po’ per esorcizzare la miseria, un po’ per propiziarsi un Natale all’insegna dell’abbondanza.

Ogni abitazione è ricca di immagini sacre. Ogni famiglia ha il suo Santo protettore.

Davanti a queste immagini, ancora agli inizi del secolo scorso, la famiglia, la sera, si riuniva per recitare le preghiere, anche se stanca ed assonnata, dopo una giornata di duro lavoro nei campi.

Le protezioni della casa
Le protezioni della casa

Nell’intimità familiare, raccolti intorno al braciere o al focolare[1], il capofamiglia aveva  il compito di iniziare le preghiere, intonando con voce alta e forte il canto:

E vune milia vòte

E lu ‘dduram’u Sagramènde,

Gesù Sagramendate,

Bella Marije, sènza peccate.

 

E tutti in coro, compreso i bambini con gli occhi chiusi per il sonno, cantavano:

Gesù Benigne e misarér’o’ me,

u Rèdèndòre du munne

e u figlije de Marije.[2]

E ancora: e duje milia vòte… e tré milia vòte… e così fino a dieci.

(1) Una particolare considerazione merita il focolare, il quale era ed è tutt’oggi il centro della casa, e ciò, non soltanto come ubicazione, ma come centro delle manifestazioni quotidiane della vita. Infatti intorno al focolare si mangiava, si concludevano gli affari, si preparava il cibo quotidiano e quanto doveva servire per un intero anno. Intorno al focolare si facevano delle lunghe conversazioni con amici, si raccontavano le favole, le leggende e si parlava di tutto e di tutti mentre sul fuoco abbrustoliva u kavedélle, una larga fetta di pane posta sui carboni ardenti che, una volta abbrustolita, veniva condita con olio e sale e  a volte spalmata con aglio o con i pomodori vernine.

[2]    Invece dell’Ave Maria e della Santa Maria, si ripeteva per 10 volte questo canto che significava: “ E mille volte l’adoriamo il Sacramento, Gesù Sacramentato, la bella Maria senza peccato”. E tutti rispondevano cantando: “Gesù benevolo, abbi pietà di me, il Redentore del mondo, il figlio di Maria”.