La festa dell’Immacolata e del Natale al tempo dei nonni

La festa dell’Immacolata Concezione è la festa più importante dell’avvento e già con essa s’incomincia a respirare aria natalizia.

I Foke da KungètteA Poggio Imperiale, in altri paesi della Provincia e soprattutto a Foggia, oltre all’accensione dei fuochi alla vigilia dell’Immacolata, avveniva un altro evento più spettacolare, apparivano i pastori nel centro abitato con le zampogne. Ricordo molto bene il passaggio degli zampognari anche a Poggio Imperiale. Il loro intervento nelle case era desiderato come di buon augurio ed era atteso di anno in anno.

gli-zampognari

Kuncè, sij viste comme so bèlle,

sònne kalat’i ciaramèlle;

Vanne p’i kas’addummanànne:

“Vu fa a nuvène pure quist’anne?”

Ciaramèlle, ciaramèlle,

ka sunàt’a nanna bèlle,

quand’allègrije ce purtàte,

pu Natàl’e a Mmaculàte.

(Concetta, hai visto come sono belli, sono scesi gli zampognari, vanno in giro per le case chiedendo: vuoi fare la novena anche quest’anno? Ciaramelle, ciaramelle, che suonate la nenia bella, quanta allegria ci portate per il Natale e l’Immacolata). (Cfr. MICHELE PAPA, Economia ed economisti di Foggia, Foggia 1933, p. 268).

Gli zampognari che arrivavano dalla Basilicata e dall’Abruzzo, con le zampogne e la cornamusa andavano per le vie suonando nenie, care non solo ai fanciulli ma anche agli adulti, diffondendo una grande gioia nei cuori. Queste nenie dolcissime e molto care predisponevano le persone alla grande festa del Natale e richiamavano tutti alla fratellanza, alla pace e all’amore.

Il Natale è, per tutti i cristiani, la festa più grande, sempre attesa e desiderata, perché segna l’inizio della redenzione umana per opera di Gesù ed anche perché offre molti svaghi e divertimenti dai riti simpatici ai piatti squisiti.

Ricchi e poveri costruiscono il Presepio, secondo le proprie condizioni economiche. C’è, infatti, chi lo fa grande, occupando un’intera stanza, chi, invece, si accontenta di innalzarlo su una panca ad un angolo di casa.

In ogni famiglia si rappresenta la capanna in modo semplice e naturale ed interpreta il poema della Natività con qualcosa che sa di particolare e di fantastico.

presepio

Secondo la credenza popolare il Presepio è messo ai piedi di un monte e ne deriva, quindi, che la gente crea monti e valli, s’inventa boschi e grotte, servendosi di pezzi di legno e di sughero, di carte ben piegate, tanto da sembrare un luogo selvaggio e boscoso, con qualche casupola poco illuminata che appare ogni tanto.

Sulle vette delle montagne s’innalzano castelli e palazzine e nelle valli appaiono capanne solitarie e casupole di pastori. Per le viuzze e i sentieri si notano pupi che rappresentano tanti episodi e scene della vita ebraica al tempo di Gesù.

Non mancano oggi in alcuni presepi scene ed usanze dei nostri tempi che la fantasia popolare sa unire a quella della vita ebraica.

una scena del presepio

Verso la grotta, che solitamente si trova al centro del Presepio, si dirigono torme di pecore, di agnelli e di capre. Queste ultime s’inerpicano per i sentieri di sughero, oppure pecore e capre si affollano sulle sponde di un fiumicello, rappresentato da una strisciolina di carta d’argento. Presso la casa di un pastore vedi galline e tacchini che razzolano. Vicino alla grotta sono inginocchiati i Re Magi ed accanto ci sono i pastori che suonano dolci melodie.

La natività

Si vedono donne che portano al Bambinello canestri di uova e ricottine, oppure contadini che vanno a regalargli polli, caci, pesci e quant’altro la natura può offrire.

Insieme ai pupi si rappresentano venditori, macellai, vinai, ci sono altri presepi che rappresentano tipi di lavandaie, fabbri, carrettieri, falegnami.

Tutto il Presepio è abbellito da erbette e muschi sparsi, minuscole e misteriose luci, che sembrano stelle cadenti, che appaiono nell’aria come per incanto.

In alcune località continua ancora oggi la tradizione dei presepi viventi, mentre in qualche altra è andata man mano scomparendo.

Molti sono i canti popolari natalizi, perché rispecchiano l’ingenuità, la vita di fede religiosa, la grande devozione del popolo. È bello ricordare uno di questi canti che i pastori accompagnano al suono dell’organino e delle ciaramelle:

Marije lavave,

Gesèppe spannéve,

u figljie chiagnéve

a ménne vuléve.

Zitte mije figlie,

te ‘mbasce e te pigljie,

te dèngh’a ménne

e te métt’a kucà.

(Maria lavava, Giuseppe stendeva i panni, il figlio piangeva e il seno voleva. Zitto figlio mio, ti avvolgo nei panni e ti prendo, ti do il seno e ti metto a letto).

Il 24 dicembre, giorno della vigilia, a mezzogiorno si digiuna o si mangia poco, per prepararsi al cenone della sera, al quale dovevano partecipare tutte le persone di famiglia. Si onorava il detto: “A Natàle ki tóje e a Pasque ke ki vu”.

Dopo la cena si vegliava nell’attesa della mezzanotte, intanto si passava il tempo giocando alle carte, al gioco dell’oca “a paparèlle”, al mercante in fiera, alla tombola, che era il gioco tipico della notte di Natale.

Oggi non sempre si aspetta la mezzanotte in casa con i propri cari, perché i giovani, in modo particolare, amano trascorrere la serata e la nottata in locali con gli amici.

Era un rito proprio del Natale l’accensione del ceppo, che voleva simboleggiare la distruzione del peccato originale. Si credeva, cioè, che come si consumava il ceppo così si annullava la colpa commessa da Adamo.

Il ceppo

C’era chi manteneva il fuoco acceso fino al giorno dell’Epifania, perché si credeva di allontanare, così, ogni disgrazia dalla famiglia. La cenere poi rimasta dal ceppo si raccoglieva e si spargeva nei campi per avere un’abbondante raccolto.

Alcuni avevano l’abitudine di partecipare a tre messe: a quella della mezzanotte, a quella dell’aurora e a quella del giorno.

Per le strade si scambiavano gli auguri con le persone che s’incontravano, come si faceva a Roma in occasione delle feste saturnali.

Non si può dimenticare la lettura delle letterine, che la mamma teneva custodite prima di Natale.

Ricordo con gioia quando a scuola il maestro ci dettavano le letterine che poi dovevamo copiare su una paginetta già predisposta con il disegno del Natale.

Il giorno di Natale venivano depositate dalla madre, complice, prima del pranzo di Natale, sotto il piatto del papà o del capofamiglia. Il momento della lettura era solenne ed emozionante, soprattutto quando a leggerle erano i fratellini più piccoli che frequentavano la prima classe elementare. Questi non avevano ancora una lettura sicura e scorrevole e una grafia non sempre leggibile.

letterina

Letterina di Natale,

sotto il piatto del papà

sta tranquilla, zitta e buona

finché lui ti troverà.

Quando poi finito il pranzo,

saran letti i miei auguri,

saran lette le promesse

per il tempo che verrà,

letterina te ne prego

tu per me non arrossire:

per quest’anno le promesse

io ti posso garantire,

perché quello che ho scritto dentro

sarà proprio tutto fatto.

Letterina di Natale

Sta tranquilla sotto il piatto.

(Anonimo)

Dopo il pranzo, il papà o il capofamiglia, fingendosi di essere sorpreso, sollevava il piatto e vedeva la letterina che faceva leggere ai bambini o che leggeva egli stesso ad alta voce a tutti i presenti. Dopo la lettura, i piccoli, autori della letterina, si mettevano in piedi su una sedia per recitare una poesia di Natale.

Son piccoletto e birichino

Ma ho tanto buono il cuoricino.

E per Natale so ritrovare

Cose bellissime da augurare.

Per te, mamma, dal dolce viso,

la nostra casa un Paradiso.

Il babbo immerso nei suoi affari

Abbia salute e anche i denari.

A tutti voi conceda Iddio

Un cuore buono, un cuore pio.

Che devo dire non so più…

Ci benedica il buon Gesù!

Era questo il modo per ricevere dai presenti qualche regalo e pochi spiccioli, che dovevano bastare per tutto il periodo delle feste.

Alfonso Chiaromonte