Terranòva e Poggio Imperiale

Poggio Imperiale, questo giovinetto, nato tra gli ultimi comuni nella provincia di Foggia più di due secoli e mezzo fa, 1759 (precisamente 263 anni fa), desta particolare simpatia.

Questo borgo rurale, voluto da Placido Imperiale, sorge su uno spazioso colle a 4 Km dal lago di Lesina.

“Terra nova” lo chiamavano i contadini garganici. “Terra”, nell’antica parlata fiorentina, significava non la campagna, ma il centro abitato. Nel nostro Meridione, invece, significava una Colonia Agricola, una Masseria…

Dopo una settimana di lavoro nei campi e di permanenza nei casolari di campagna, i contadini, la sera del sabato, così dicevano: “Domani andiamo alla Terra”, quasi quasi volessero dire, domani andiamo in paese per fare compere ed assolvere anche qualche altro compito.

Al sostantivo “Terra” si è subito unito l’aggettivo “Nova”, per indicare proprio un borgo particolare, quello fondato dal principe Placido Imperiale e non un altro borgo qualsiasi. “Andiamo alla Terra Nova”, in pratica andiamo alla Terra del principe Placido Imperiale.

“Egli, infatti, scrive L. Targioni (Saggi fisici, politici ed economici, Napoli 1786, p. 154), ha mutato diversi suoi feudi, che possiede nel Principato Ultra e in Capitanata, dal tristo aspetto al più favorevole, che immaginar si possa; vedendosi il tutto posto a profitto, o a maggior aumento, a segno che siccome la loro ereditata rendita era di annui ducati quindicimila, oggi giugne a ducati sessantamila. Della terra fa ammirare il lodato Principe, utili e leggiadri i piani, le valli, i monti e fino alle nude arene del mare, poiché le vaste campagne in generale, da nocivi spineti, e da sterili macchie e cespugli, ingombrando il suolo agreste le fiere, e i velenosi animali, veggonsi oggidì tutte sboscate, svelte le radici di quelli, e sviscerata la terra per estirpare ogni nociva barba antica. Trovansi essiccate da quelle campagne le perniciose acque per mezzo di fossi e canali, non che mercé le macchine idrauliche, assai più da se stesso escogitate, che dall’arte insegnate per disporre, e regolare di quelle il necessario pendio. Ridotte in sì feconda disposizione ed attitudine le campagne, le valli e i monti…”.

Il ceto numeroso era quello dei contadini e dei braccianti. Il contadino, nella società dell’epoca, non era tenuto in gran considerazione, perché doveva occuparsi solo del duro e perpetuo lavoro dei campi, ricompensato con una paga che non era sufficiente nemmeno al suo sostentamento. Un tempo aveva facoltà di raccogliere legna nei boschi e dagli alberi che erano abbattuti, così, con la legna raccolta, poteva riscaldarsi e servirsene per i tanti bisogni. Poteva raccogliere le stoppie e spigolare nelle terre seminate a grano, far pascolare qualche gregge nelle terre abbandonate.

Ma non fu così per la “Terra Nova” del Principe, perché quasi tutti gli abitanti erano dediti all’agricoltura e anche le donne seguivano gli uomini nei lavori campestri.

La “masseria” di Placido Imperiale, la “Terra” del principe, possedeva anche dei casamenti, “situati alla strada detta Albanese, i quali casamenti contenevano due ordini di sottani, ossia bassi, uno verso la detta strada e l’altro corrispondente nella strada opposta al lato Oriente, che dicesi la Palazzina, con essere al tempo della costruzione scompartiti in quindici stalloni, ogni uno dei quali oggi trovasi ridotto a due sottani, cioè numero quindici componenti ogni ordine. Ciascun sottano tiene porta d’ingresso con chiusura ad un pezzo, l’atrio sfossato, e covertura di una quinta di tetto, finestrino a lume verso la strada, comodo di focolaio con la cappa, e vano sporgente all’atrio sottano nel sito opposto”.

La stragrande maggioranza della popolazione, quindi, era composta di braccianti agricoli al servizio dei padroni.

Qualche ortolano assisteva il proprio campicello e collocava i suoi prodotti solo su commissioni.

La semina del grano occupava il primo posto dell’agricoltura, perché si sfruttava molto la fertilità del terreno. La semina di tale prodotto avveniva soprattutto nelle grandi masserie, dove c’era bisogno di molta mano d’opera. Difficilmente si trovava gente del luogo disponibile a vivere in campagna. Era necessario, perciò, ricorrere ad operai d’altre province. Venivano gli aratori dall’Abruzzo, i mietitori e i battitori dalla Peucezia, dalla Basilicata, dai due Principati. Si consolidava così una presenza costante di lavoratori, che in certi periodi dell’anno s’incontravano sempre nello stesso luogo.

E’ facile supporre che alcuni di loro prendevano stabile dimora, altri ritornavano alle loro abitazioni per incontrarsi nuovamente l’anno successivo.

Queste persone, dopo una settimana di duro lavoro nei campi, quasi segregati dal resto del mondo, sentivano la necessità di andare alla “Terra”, alla “Terra nova”, perché solo lì ci sarebbe stato un momento di relax, di distrazione, ma soprattutto ci sarebbe stata l’occasione d’incontrare gente nuova, di poter andare in cantina (i venditori di vino erano all’epoca Rubici Simone e Labombarda Giuseppe) a bere con gli amici, di vivere qualche momento diverso.

Andiamo alla “Terra”, si sentiva dire spesso. Quest’appellativo rimase sempre come un augurio ed un momento di svago per chi trascorreva la maggior parte del tempo a coltivare la dura terra.

Nel dare il nome alle strade, i compaesani non si dimenticarono di ricordare Terranova.

Il nome assegnato ad una strada esiste tuttora: Vico Terranova. È una stradina che taglia Via De Cicco e l’antico Vico Gelso, come si può notare dalla foto.

Il villaggio di Poggio Imperiale, detto allora “Terranova” per la sua recente fondazione, agli effetti amministrativi faceva parte della comunità di Lesina.

Con la soppressione dei feudi e l’accantonamento dei demani, alla città di Lesina fu dato in proprietà la terza parte del lago e circa 150 versure dell’adiacente Bosco Isola. Una metà del quale fu dato poi con altre terre al villaggio di Poggio Imperiale, i cui abitanti furono considerati nella spartizione dei demani, come appartenenti all’università di Lesina. La separazione del villaggio di Poggio Imperiale dal comune di Lesina fu sempre pilotata dagli intendenti di Capitanata, che si avvicendarono negli anni, sollecitati dal ministro degli interni Giuseppe Zurlo, fratello di Biase Zurlo, ripartitore demaniale, che ha sempre tenuto in gran considerazione la popolazione di Poggio Imperiale.

I cittadini di Poggio Imperiale furono riconoscenti a Biase Zurlo e a lui intitolarono una strada, che ancora oggi porta il suo nome.

Il soprannome “Terra nova” non fu facilmente cancellato con il trascorrere degli anni dai ricordi e dalla mente dei cittadini, i quali, ancora oggi, con più insistenza sono orgogliosi di chiamarsi “tarnuìse”, che è un modo più dialettale della parola “terranovesi”. Nei documenti ufficiali esiste Poggio Imperiale, ma nella tradizione orale si dice ancora Terranova e terranovesi si chiamano i suoi abitanti. Questo soprannome fu volgarizzato in “Tarranòve”, tanto che ancora oggi i cittadini sono detti “Tarnuìse”. Resta ancora noto il famoso detto dialettale, quando si scimmiottavano poggioimperialesi e lesinesi: “Tarnuíse k’u’ cule appís’e lesenàre k’u cule a panàre”.

Questo appellativo “Terra” più l’aggettivo “Nova” si legge anche in un documento del 1794 dove una cittadina di Poggio Imperiale lamentava al governatore del Principe l’abuso subito da un fattore di Domenico Maria Cimaglia per non aver mai pagato l’acquisto di pane e vino fatto per gli operai che lavoravano quel podere. Nel documento si legge “la vedova Vincenza Raimondo di Terranova…” Cfr ASFG, Fondo Dogana, serie V, F 39 bis, f.4358.

Negli scrittori della terra garganica troviamo spesso il termine “Terranova”. Giuseppe De Leonardis, in Monografia generale del Promontorio del Gargano, Napoli 1858, p. 162, scrive: “Tiepide sono le acque di Poggio Imperiale o Terranova e quelle del Caudolo, che scaturiscono presso la chiesetta rurale di S. Lazzario; sono dette così, perché sono calde due gradi più dell’atmosfera, sparse di sale d’Epson”.

Michelangelo Manicone, in LA FISICA DAUNICA, parte I DAUNIA, a cura di Loredana Lunetta e Isabella damiani, Roma 2005, p. 64, scrive: “Terranova è distante da Lesina due miglia circa. Questo villaggio giace sopra una leggera elevazione, e tiene al Nord il Lago di Lesina. Fu fondato verso i principj dello scaduto secolo dal Principe Imperiale, e perciò appellasi ancora Poggio Imperiale”.

Michele Colozzi, in Sulla genesi del territorio e diritti di uso civico per Lesina, San Severo, 1932, p. 50 e ss. riporta una sentenza della Commissione Feudale: … “Con la sentenza del 13 giugno 1810 della Commissione Feudale, si nota che questo territorio faceva parte del Comune di Lesina. Il ripartitore Zurlo nel 1811 tolse a Lesina i territori del fiume Api o Apri verso Lesina, assegnandoli a Terranova (oggi Poggio Imperiale), quando allora era solamente masseria e poi borgata…”…

In una masseria, dopo una battuta di caccia. Al centro della foto mio nonno Alfonso

Il 18 gennaio del 1816 Poggio Imperiale divenne ufficialmente Comune autonomo con una propria amministrazione e un proprio Decurionato, che s’insediò l’1 aprile dello stesso anno.