Il mulino a vapore di via del Pozzo a Poggio Imperiale

La diffusione dei mulini a vapore, che fecero la loro prima comparsa in Puglia già a partire dall’ultimo quarto del secolo XIX, divennero molto utili nei piccoli centri urbani e nelle circostanti campagne, come è avvenuto anche a Poggio Imperiale, dove fu fatto costruire dal signor De Cristoforo Angelo.

Qui prevalse la piccola “industria domestica” demandata al centimolo (Il mulino è chiamato anche volgarmente Centimolo) che, gestito a conduzione familiare, riusciva a soddisfare la popolazione locale che non richiedeva un prodotto molto raffinato.

Infatti Giuseppe Florio, nel suo noto saggio l’ingegnere-mugnaio del 1871, scriveva: “… L’abbondanza dei pascoli, la scarsezza di abitanti, il poco aggiornamento di essi e soprattutto le difficoltà dei mezzi di comunicazione ha reso necessario e conveniente, in quella regione, l’impiego su larga scala della forza animale, e migliaia di piccoli mulini, detti centimoli, anche se ora sopperiscono ai bisogni di quelle popolazioni…”. (GIUSEPPE FLORIO, L’ingegnere.mugnaio. Manuale pratico per gli ingegneri civili incaricati delle perizie giudiziarie delle quote fisse nei molini forniti da contatore meccanico, Napoli 1871, p. 12).

La varietà e la profonda diversità del territorio della provincia e la presenza dei fiumi Ofanto e Fortore, dei torrenti Candelaro, Carapelle, Celone, Salsola e Cervaro e dei numerosi ruscelli del Gargano hanno contribuito allo sviluppo sia di numerosi impianti idraulici sia di mulini “a sangue” e, in seguito, a vapore. (ANNALI DI STATISTICA, Statistica industriale provincia di Foggia, fascicolo XXX, pp. 32 – 33).

Uno di questi mulini a vapore si trovava a Poggio Imperiale verso la via del Pozzo, costruito, come già scritto prima, per conto di Angelo De Cristoforo.

Le macine del mulino giravano con la forza vapore di acqua riscaldata nella caldaia con fuoco alimentato dalla combustione di paglia o di legna.

Dalla carta Idrografica d’Italia, provincia di Foggia, redatta nel 1887-88, si evince la localizzazione di numerosi impianti che costituivano un ricco sistema produttivo ed economico di età pre-industriale essenzialmente legato alla produzione e molitura dei cereali che era molto radicato sul territorio della provincia di Capitanata.

Alcuni viaggiatori che attraversarono il territorio pugliese, tra la fine del secolo XVIII e la metà del successivo, definirono la terra di Capitanata “i granai delle Puglie”.(ATTI PARLAMENTARICamera dei Deputati, sessione del 1878-79, tornata del 1 luglio 1879).

Una particolare menzione merita in questo periodo il signor Corrado Pisani, nuovo proprietario del mulino a vapore, impropriamente chiamato mulino a fuoco e dai terranovesi “ a seggiulètte”, situato verso la via Del Pozzo, a circa m 300 dal pozzo comunale.

Il signor Pisani, come aveva denunciato in Consiglio Comunale il signor Antonio Bonserio, avrebbe aumentato di sua iniziativa il prezzo della macinazione del grano e di conseguenza del costo della farina.

Il mulino è stato un mezzo che ha avuto un ruolo principale nell’alimentazione dell’uomo.

Poggio Imperiale è sorta come paese agricolo e naturalmente la produzione principale è stata sempre la cerealicoltura. Pertanto, il frumento, considerato da sempre uno degli alimenti primari della nutrizione umana, è stato oggetto nel corso dei millenni di particolari cure e provvidenze per garantire all’uomo la costante disponibilità.

La coltivazione del grano e quindi la sua macinazione hanno la loro storia narrata in ampi trattati che documentano i metodi e gli strumenti attraverso cui l’umanità ha conseguito crescenti progressi. Esse hanno attivato la diligenza umana ad escogitare metodi e tecniche diverse in relazione agli ambienti ed alle disponibilità di ciascun luogo. (Il mulino a vapore ha sostituito quasi completamente il mulino ad acqua ed il mulino a vento dal XVIII secolo. I mulini a vapore erano impianti di macinazione costituiti da una o più coppie di macine tradizionali in pietra, ma movimentate da motori a vapore, costituiti da una caldaia dove sostanze liquide venivano trasformate in vapore che poi era portato ad agire su di uno stantuffo, il quale, per mezzo di appositi meccanismi a bielle e manovella, trasmetteva il moto ad una puleggia motrice. Nello stesso modo venivano impiegati i motori a combustione interna. Il gruppo motore era posizionato esternamente al mulino, per ovvie ragioni di sicurezza, di rumorosità e di inquinamento, collegato ad una grande puleggia montata sull’albero delle macine con una cinghia di trasmissione che passava attraverso un’apposita apertura praticata nel muro esterno. L’apparato di macinazione era costituito da una o più coppie di macine tradizionali in pietra collegate ad un albero di trasmissione tramite ingranaggi a coppia conica. Il ciclo di lavoro e di manutenzione delle macine era lo stesso o identico al mulino ad acqua e a vento).

Alle accuse fatte dal signor Antonio Bonserio, il sindaco dell’epoca avvocato Giovanni Saitto così scrive nel suo “Memorandum”:(SFG, Sottoprefettura di San Severo, Atti, Memorandum, B. 421, S. 9, f. 14 e ss.) “… In riguardo all’asserto che il Sindaco abbia aumentato il prezzo della molitura dei cereali è tale menzogna, che basta a smentirla lo stesso proprietario del mulino, Pisani Corrado, il quale comprava dall’antico proprietario, signor De Cristoforo Angelo, il mulino a vapore senza obbligo di molire i cereali alla ragione di £ 1:50 al quintale, ché anzi il sottoscritto al Pisani, che voleva aumentare il prezzo della molitura, suggerì pel meglio dei suoi interessi, e per non assumersi responsabilità, di avvisare il Consiglio di questa sua intenzione. Il Pisani avanzò domanda analoga: in Consiglio furono diversi i pareri; prevalse infine quello del Gramigna, che pretese che il Sindaco stabilisse una tariffa scritta, cosa non mai praticata per lo avanti; che tale tariffa fosse stata messa nel mulino, e che in quel locale si fussero all’uopo accertate anche le contravvenzioni”.

Il sottoscritto, continua il Saitto, firmò la tariffa; ma avendo preteso che il Pisani avrebbe data querela, o impedito almeno l’accesso nel locale; a scanso di ogni responsabilità dichiarava che egli non intendeva esporsi ad una querela per violazione di domicilio, ma che avrebbe inteso il parere dell’Autorità competente prima di spingersi ad atti esecutorii”.

In riguardo al prezzo del pane, questo si mantiene tale quale due o tre anni fa, mentre in questi ultimi anni i grani hanno avuto una tendenza positiva al rialzo, constatazione questa non difficile a farsi”.

Il nuovo mulino per la macinazione del grano

La conduzione del mulino a vapore di via del Pozzo era passata alla gestione di Pacini Riccardo, (ANNUARIO D’ITALIA, Guida generale del Regno, Anno XIV, Bontempelli, Roma 1897 – 1912) che, insieme con i figli continuava a svolgere la mansione di mugnaio (Il mugnaio è un lavoratore che svolge la sua attività lavorativa in un mulino. Uno stabilimento che trasforma i cereali in farina. Quella del mugnaio è una fra le più antiche occupazione dell’uomo). Le cose, però, non andavano troppo bene, perché il mulino aveva bisogno di molta manutenzione e i macchinari incominciavano a deteriorarsi. Si può immaginare, quindi, la poca presenza di poggio imperialesi a portare i cereali per la macinazione in un mulino non proprio più idoneo allo scopo.

Verso la fine dell’ottocento giunse da Apricena Gaetano Spagnoli, che, con il fratello Nunzio, commerciava grano, e insieme capirono che a Poggio Imperiale c’era la necessità della macinazione del grano in loco. (Gaetano Spagnoli nasce ad Apricena il 3 ottobre 1884. Inizialmente commercia olio, ma, in seguito, insieme con il fratello Nunzio commercia anche grano. Le due sorelle Teresa ed Eva si sposano a Poggio Imperiale, la prima con De Stefano e la seconda con Zangardi. Spesso si reca a Poggio Imperiale per far visita alle sorelle e durante questa permanenza conosce Marietta Giuliani, che sposa. Si trasferisce quindi a Poggio Imperiale e insieme con il fratello Nunzio si dedica completamente al commercio del grano. Visto che sta quasi per cessare l’attività il vecchio mulino a vapore di via del Pozzo, perché quasi rovinato e non più efficiente come una volta, verso il 1905 i due fratelli pensano di costruire un nuovo mulino per la macinazione del grano nella parte opposta del paese in via San Severo. Ai piani superiori costruiscono la propria abitazione).

Così, agli inizi del ‘900 e precisamente verso il 1905, pensarono di costruire un nuovo mulino alla periferia del paese sulla strada per San Severo (ora via Foggia).

La sede del mulino doveva essere ampia perché, oltre ai macchinari e alle varie attrezzature, occorreva spazio per il deposito dei sacchi di grano e di farina.

Non era più a vapore. Era con due coppie di macine di pietra speciale, larghe da 25 a 30 cm di circonferenza. Le macine venivano azionate da un motore a scoppio alimentato da carbone antracite.

Le facciate delle macine venivano lavorate tutte a mano con martelline e lamette da operai di mestiere.

Il mulino era, grosso modo, così composto: una grossa piattaforma orizzontale fissa su cui girava veloce una grossa ruota anch’essa di pietra.

Dalla tramoggia, poi, scendeva il grano che veniva triturato e macinato a seconda della richiesta del cliente.

La prima categoria era una farina fina, libera da ogni impurità; vi era poi una categoria media e, infine, vi era la terza, quella dei più poveri, con la crusca non del tutto separata. Per questa operazione di primaria importanza ci si serviva del regolatore che influiva sulla ruota dalla cui posizione dipendeva la qualità della farina.

Per coprire completamente piattaforma e ruota c’era un cassone di legno e, soprattutto, la tramoggia a forma quadrangolare, a piramide, sempre in legno, nella cui bocca si versava il grano che andava nella macina.

La farina, poi, finiva nelle katóse (frullatori), specie di mestoli triangolari che la ricevevano e nel giro che facevano la raffreddavano, poiché la farina usciva calda a seguito dell’azione della ruota sulla piattaforma.

Dalla macina usciva farina e crusca: dal grano duro, in media, si ricavava 80% di farina e il 20% di crusca; da quello tenero, di solito, il 75% contro il 25%. Tra la piattaforma e la ruota c’era una paletta, che aveva la funzione di raccogliere la farina che usciva dai loro lati forniti di una quantità notevole di scanalature. Comunicazioni scritte rilasciatemi nel 2007 da Giuseppe Spagnoli (Peppino).

Il mulino lavorava a pieno ritmo tutti i giorni, perché la popolazione di Poggio Imperiale si basava prevalentemente sull’attività dei contadini.

Pertanto questi, nella loro stragrande maggioranza, panificavano da sé dopo aver acquistato il grano e averlo macinato al mulino.

Erano poche le famiglie che compravano il sacco di farina al negozio.

Si riconosceva il mugnaio subito, anche se si trovava tra la folla, perché era sempre pieno di polvere bianca.

Con i fratelli Spagnoli, Peppino e Arturo e alcuni operai, Vincenzo Raimondi, detto Nino, (Nino era originario di Fabriano (AN) e in quel periodo giocava come portiere nella squadra di calcio di Poggio Imperiale) e Lillino Restani, il mulino aumentava la produzione, perché i nuovi cilindri con motore elettrico riuscivano a macinare circa 10 quintali di grano al giorno (Inizialmente il grano era macinato a pietra e la quantità del prodotto era inferiore, circa 4 o 5 quintali al giorno).

(All’epoca la squadra di calcio di Poggio Imperiale era formata dai calciatori: da sinistra Michele Chiaromonte, Presidente Società, Felice Clima, Antonio Giuliani, Nicolino Di Nunzio, la testa di Enzo Calvitto, Buonpensiero, fratello del giocatore del Foggia Calcio, Faleo,  Giacomo  Fina detto Mimì, Allegretti. Accosciati: Rocco Triggiani, Vincenzo Raimondi detto Nino, Gino Palmieri e al suo fianco in camicia Bianca Antonio Penna Caroppi).

Gli agricoltori, mediante i traini, trasportavano i sacchi di grano dalla campagna direttamente al mulino, altri, invece, dopo averlo fatto asciugare molto bene al sole, lo conservano nelle fosse di grano, costruite proprio per questo scopo. In Poggio Imperiale era molto diffusa l’agricoltura e si produceva soprattutto frumento. Proprio per questo i maggiori coltivatori del paese acquistarono del terreno per scavare due o tre fosse, secondo le proprie necessità. Primiano Bubici ne possedeva 2, don Bartolomeo Cocca ne possedeva 2, il Principe Imperiale ne aveva tre, Luca de Cicco ne aveva 10…

Poggio Imperiale ebbe ben 37 fosse granarie. Di queste solo 27 nel largo della piazza, 5 in via de Cicco e 5 di fronte alla Palazzina, come si può notare dalla figura.

La stragrande maggioranza era composta di braccianti agricoli al servizio dei padroni. Questi, in numero limitato, conducevano, in proprio, aziende agricole più o meno vaste, disseminate nell’agro paesano e limitrofo. La gente era costretta a vivere in campagna nelle masserie. Le colture erano limitate: grano nella quasi totalità, ulivi in misura ridotta, avena, legumi e ortaggi, rispettivamente per quanto occorreva alle aziende o per abbondanza di famiglia. Qualche ortolano assisteva il proprio campicello e collocava i suoi prodotti solo su commissioni.

La semina del grano, come già detto prima, occupava il primo posto dell’agricoltura, perché si sfruttava molto la fertilità del terreno.