Poggio Imperiale, il fiumicello Caldoli e il culto di san Nazario Martire

Poggio Imperiale,il fiumicello Caldoli e

il culto di San Nazario Martire

di Alfonso Chiaromonte

 

“Presso la riva meridionale del lago di Lesina, propriamente nella contrada San Nazzaro, trovasi un’acqua salina – termale, che scaturisce da più sorgenti, sensibilmente al livello del mare al piede di una collina con dolce pendenza, rivestita di uliveti, appunto dove incomincia la pianura, al limite del terreno pietroso ed il piano, composto di profondo terriccio paludoso del lago di Lesina. Le dette acque, dopo un corso di circa 2 km, vanno a scaricarsi nel lago, inalveato parte dalla natura e parte dall’arte e la loro corrente anima un molino. Non havvi alcuna strada da San Nicandro, dalla quale è distante 10 km verso N.O., né dalla stazione ferroviaria di Poggio Imperiale, dalla quale è distante 12 km.

Origine geologica

A circa 4 km dalla sorgente, alla falda della montagna marmorea esiste un meato di terreno, dal quale non di rado, specialmente nell’inverno, sorge un vapore caldo, che dovrà segnare la sede di chimiche decomposizioni operatisi in seno alla roccia calcarea ed il punto ove prendono origine e si termalizzano le acque saline di cui si parla.

Temperatura – tiepida 29°

Fin qui non esiste una buona analisi di quest’acqua, pertanto ci associamo pienamente al desiderio del dott. Lombardi, che se ne faccia eseguire una più completa, essendo l’unica sorgente di questa natura nell’intiera provincia e così di grande importanza.

Proprietà mediche

Il dott. Lombardi sperimentò che quest’acqua agisce come potente diuretico, e l’impiegò interamente nelle idropsie, nelle itterizie non accompagnate da malattia organica del fegato, come pare nelle affezioni gottose; esternamente poi è ottima per tutte le piaghe atoniche, tranne quelle che sono sostenute da cacchessia palustre”. (Tratto da “Cenni storici e geologici delle proprietà fisiche, chimiche e mediche delle singole sorgenti sulle acque minerali d’Italia”, raccolte ed ordinate per cura di Guglielmo Jervis, Torino, Firenze 1868).

Parlare di epoche così lontane, senza essere confortati da documenti che possono riempire tanti vuoti e capire come si sono svolti gli eventi, è cosa ardua e difficile. Dobbiamo allora attenerci alla tradizione orale e a qualche leggenda che ci possono essere di guida durante tutto questo percorso.

Consideriamo allora tre aspetti importanti per avere una situazione più chiara degli avvenimenti: –   Podalirio e il suo culto tra le genti daunie;

  • – La Geografia di Strabone;
  • – L’avvento del cristianesimo e il divieto dei culti pagani, soprattutto di divinità mitologiche.

(L’imperatore romano Teodosio I con l’editto del 391 d. C. vietava questi culti e, successivamente, Teodosio II proclamava il cristianesimo come religione di stato). Fu proprio durante questo periodo che molti templi, dedicati al culto di divinità pagane, furono consacrati al culto di Santi e Martiri della persecuzione pagana.

Ma veniamo al nostro S. Nazario Martire. Della sua vita si sa molto poco. Sicuramente di origine milanese figlio di Africano, pagano e di Perpetua, cristiana. Nazzaro, chiesto e ottenuto il battesimo da S. Lino papa, cominciò a predicare la fede cristiana. Vende i suoi beni e ne distribuisce il ricavato ai poveri. In alcune raffigurazioni appare in divisa da soldato, come la statua del Nostro Santo. Il martirologio romano cita quattro soldati romani, martiri sotto Diocleziano e Massimiano, tra cui S. Nazzaro. Accusato dall’imperatore fuggì a Nizza, dove gli fu affidato il giovane Celso. Il giudice Tommaso, su ordine di Nerone, condanna Nazzaro e Celso, perché cristiani, ad essere gettati in mare. Si salvano dall’annegamento. In seguito si recano a Treviri dove sono arrestati e condotti a Roma. Una nuova fuga li riporta a Milano e qui Nazzaro abbraccia il padre, convertitosi al cristianesimo. Ricercati da Dento, soldato di Nerone, i Nostri sono di nuovo arrestati. Il prefetto Anolino condanna Nazaro e Celso al supplizio e subiscono il martirio con la decapitazione fuori Porta Romana a tre Moros. La loro persecuzione risale al periodo 303-304, epoca in cui gli imperatori Diocleziano e Massimiano emisero quattro editti di persecuzione contro i cristiani.

Il culto di S. Nazzaro si diffuse ad opera di S. Ambrogio, dopo il rinvenimento del corpo del Santo a porta Vercellina. In seguito S. Ambrogio trasferì le reliquie nella Basilica degli Apostoli a Porta Romana. S. Ambrogio fu uno dei primi e più zelanti apostoli dell’uso di deporre le reliquie dei santi martiri sotto l’altare in occasione della dedicazione delle chiese. Nell’anno 395, scoperti i corpi di Nazzaro e Celso, lascia il secondo al suo posto e celebra una solenne traslazione del corpo di Nazzaro alla Basilica degli Apostoli. Colloca le reliquie alquanto indietro all’altare, dove sono deposte le reliquie degli Apostoli Andrea, Giovanni, Tommaso, in modo che sia in testa alla linea della croce, che costituisce la forma della Basilica.

Nell’occidente vi sono molte chiese dedicate a S. Nazzaro fino dai tempi di S. Ambrogio. Nell’anno 400 il culto del santo si è propagato in tutta Italia. Arriva a Nola con Paolino negli stessi anni ed è probabile che arriva anche in provincia di Benevento, in Capitanata, precisamente nel feudo di Lesina, dove poi nascerà Poggio Imperiale, nel territorio del quale esisteva una cappella rurale dedicata al Santo.

Infatti, dove ora sorge la cappella Santuario di S. Nazario M., esisteva una chiesetta dedicata al dio podalirio, guaritore di mali.

Questa chiesetta, dopo l’editto di Teodosio II, fu dedicata a S. Eleazzaro. C’è un Eleazzaro, soldato romano della legione tebana, martirizzato con 400 legionari, perché si erano rifiutati di venerare le divinità pagane. C’è anche un altro Eleazzaro, 90enne, martirizzato, perché predicava il cristianesimo.

Ma veniamo al nostro Santo: Nazzaro, Lazzaro, Nazario, nome ricordato in alcuni canti dialettali Lazzàre, ha subìto delle trasformazioni nel tempo, ma tutti e tre i nomi si riferiscono al Santo martire figlio di Africano, pagano e di Perpetua, cristiana.

Il culto di S. Nazario m. nel territorio di Lesina e Poggio Imperiale è nato spontaneo, forse anche perché si trovava nella nostra zona una guarnigione di soldati romani ed i legionari, convertiti alla fede cristiana, veneravano Nazario come protettore.

Un’antica leggenda, tramandata di generazione in generazione e raccontata dai nonni, anche se poco attendibile, racconta dell’apparizione del Santo ad alcuni pastori che pascolavano il loro gregge nei pressi della chiesetta.

Un’altra leggenda, ancora meno attendibile, (perché S. Nazario non è mai passato per le nostre contrade, come si legge nelle fonti storiche che parlano della vita del Santo), racconta che il Santo, perseguitato, sia passato dalle nostre parti e stanco e piagato, si sia seduto su un macigno situato nei pressi del fiumicello Caldoli, per riposarsi e per lavarsi le piaghe di cui aveva infetto le gambe. Proprio perché queste acque hanno proprietà terapeutiche, alcune guarigioni di devoti sono attribuite al Santo.

“…I transumanti, poi, come scrive MARIA TERESA CALZONA LALLI, La Madonna nella religiosità del tratturo: la Madonna, i santi e le devozioni nella sacralità dell’itinerario transumante”, Andria 2001, p. 290, portavano con sé anche il loro mondo religioso e spesso facevano riferimento ai santi venerati nei loro borghi: san Rocco, san Cristinziano e san Gaudenzio, il quale ci libera dai rignuoli, cioè i brufoli. Altri santi hanno viaggiato con i transumanti e sono stati adottati nei paesi della Daunia: da Venafro è arrivato san Nazario martire, venerato in un piccolo e frequentatissimo Santuario posto al confine di Lesina, Poggio Imperiale ed Apricena. Da Triveneto è arrivato il culto dei santi Celso e Nicandro, che è diventato patrono di Sannicandro Garganico…”.

Nazaro deriva dall’ebraico Nazar che significa “consacrato”. L’onomastico viene festeggiato il 28 luglio in ricordo di S. Nazario di Milano, martirizzato con la decapitazione.

Il modo più semplice per arrivare alla Cappella Santuario di San Nazario Martire è quello di prendere la A14 ed uscire poi al casello Poggio Imperiale – Lesina.

Una volta fuori dell’autostrada, ci si trova in una rotonda che si percorre a metà e poi, seguendo le indicazioni, ci s’immette nella superstrada a scorrimento veloce del Gargano. Dalla Rotonda sono circa 7 Km.

Scipione Mazzella, dopo aver parlato nel suo libro di Porcina o Apricena e di San Severo[1], dice: “Strabone scrive nel 6° libro che nel territorio Dauno ad un colle nominato Drion si vedevano nel suo tempo due templi. L’uno era sulla più alta cima, consacrato a Calcante, a cui, coloro che si recavano per domandare l’oracolo, sacrificavano un montone nero e si coricavano sulla pelle; l’altro tempio era dedicato a Podalirio in basso alla radice del colle lontano dal mare 100 stadi. Da quel tempio nasceva un fiumicello salutifero all’infermità dei bestiami; onde si può ben credere che tali templi in questi convicini luoghi fossero stati”.

Il Fraccacreta[2]suppone che sul tempio dedicato a Podalirio fosse stato edificato il romitaggio di S. Nazario M.[3]

Alle pendici dei monti garganici, di fronte al lago e al mare, sul confine di quattro comuni, Lesina, Poggio Imperiale, Apricena e Sannicandro Garganico, sorge l’antico romitaggio dedicato al martire San Nazario. Antica Cappella di san Nazario M.

La cappella rurale del Santo è nel “tenimento di Lesina” e la sua origine risale, forse, al 1050, anno in cui Petronio, conte di Lesina, edificò nei suoi feudi il celebre monastero dedicato a San Giovanni Battista.

Mario Fiore[1]sostiene che la fondazione della cappella rurale sia avvenuta in un periodo successivo e precisamente dal 1077 ai primi del secolo XIII (1221).

“Vi era un’antica chiesa, le cui vestigia ancora vi sono, dedicata a S. Eleazzaro, volgarmente detto S. Nazario, donato dal conte Petronio e i suoi successori conti di Lesina al monastero di San Giovanni in Piano, come appare nei Privilegi che si conservano nella filza IV dell’archivio”[2].

La storia della cappella nei primi tempi è strettamente legata a quella del monastero di San Giovanni in Piano.

L’unico avvenimento interessante, e che qui sembra giusto rilevare, fu il terremoto del 30 luglio 1627. Distrusse, infatti, tutti gli edifici del territorio di Lesina ed anche la cappella rurale di San Nazario[3].

Non esistono atti e documenti relativi alla nostra cappella, perché i vescovi beneventani rinunciavano alle sacre visite, essendo la zona molto malarica e sempre infetta da molti malanni.

Dopo il terremoto la cappella rurale di San Nazario fu subito ricostruita, conservando sempre quella sua forma primitiva di casa colonica, avendo soltanto un archetto a forma di campanile per distinguerla dalle altre case coloniche, che erano sparse nella zona.

Perché questa celere ricostruzione? Tale celerità si deve all’importanza che il territorio di San Nazario rivestiva in quello più ampio del comune di Lesina[4].

“Il quadrone di San Nazario, infatti, è uno dei cinque quadroni franchi nel territorio di Lesina, in cui tutto si può seminare, senza serbare porzione alcuna di locati, i quali solamente vi possono pascolare, né altri, siano essi di Lesina o della Procina, ai quali è espressamente proibito il pascolo, come appare dagli ordini regi, che si conservano nella filza IV dell’archivio”.

Come è sorto il culto di San Nazario? Non certamente dalla colonizzazione dei monaci benedettini, che fin dal X secolo avevano irradiato con il loro benefico influsso le nostre terre. Questo culto è sorto sicuramente dalla fede del popolo che, negli stessi luoghi dove gli antichi onoravano le virtù terapeutiche di Podalirio, volle ringraziare la divinità per i benefici concessi, a causa delle acque salutari del fiume Apri o Caldolo. Così elesse a nume tutelare del luogo il Santo.

Scrive Giuseppe De Leonardis[5]: “Tiepide sono le acque di Poggio Imperiale o Terranova e quelle del Caudolo, che scaturiscono presso la chiesetta rurale di S. Lazzario; sono così dette, perché calde due gradi più dell’atmosfera, sparse di sale di Epson. PROBABILI_RESTI_TERME_ROMANE_1_E_SORGENTE_2_1

Tali acque, oltre ad essere lievemente mineralizzate, presentano un grado di termalità particolarmente elevato, compreso tra i 16° e i 26° nel corso di tutto l’anno.

Il motivo della tiepidità di alcune sorgenti, tra cui quella del Caldoli, va ricercata nelle pubblicazioni[1] del Manicone e dello stesso De Leonardis, i quali la spiegano in questo modo: “Il dotto signor Luigi Izzo, allora vicario Generale della regia Badia di San Giovanni in Lamis[2], nel febbraio del 1795, all’alba e al tramonto vedeva sollevarsi una densa colonna di fumo per circa venti palmi in linea retta. Il fumo sollevandosi prendeva la forma di un ombrello e poi in vari trapezi si disperdeva per l’aria”. Questo fenomeno, mai veduto prima, spaventò garganici e pugliesi. Luigi Izzo, mosso da curiosità, si recò sulla bocca del Monte Granata, a circa sei miglia da San Marco in Lamis e udì provenire dal fondo come uno strano macinare di mulino e dalla bocca venire fuori vapori acquei, esalazioni aeriformi, emananti una strana puzza.

Queste sono le osservazioni fatte dopo la visita alla bocca:

  • – Osservò che il fumo era di colore bigio;
  • – Osservò che il fumo, disperdendosi per l’aria, lasciava una piccola puzza;
  • – Osservò che ponendo le mani sulla buca, quando mancava il fumo, potevano resistere piacevolmente al calore. La stessa buca somministrava calore come un forno spento da poco;
    • – Osservò che quando avvicinava l’orecchio alla buca, si sentiva molto bene un fragore simile al flusso e riflusso delle onde del mare;
    • – Infine posa sulla bocca (della buca) un foglio di carta, otturò eventuali fori esterni e dopo dieci minuti lo ritrovò tutto bagnato. FIUME_CALDOLI_1_1

    Da queste osservazioni il Manicone ha dedotto che non esiste nessuna vulcanicità del Monte Granata e che le correnti sotterranee d’acqua calda sono quelle che alimentano alcuni rivoli della zona, tra cui il Caldoli, che scorre nei pressi della cappella di san Nazario.

    La rustica cappella, sebbene ingrandita per due terzi nel 1904, non è stata diversa dalle tante casette sparse qua e là per la campagna, se non avesse avuto il solito archetto di fabbrica con la piccola campana e la croce sulla sommità della facciata.

    Nell’interno vi era un altare nel muro di fronte alla porta, con sopra la nicchia, la statua del giovane Santo e sulle pareti imbiancate gli ex voto di cera ed i quadri, rappresentanti le grazie che il Santo ha voluto concedere ai suoi devoti[1].

  • ex votoex voto1Dinanzi all’altare c’è un macigno fatto liscio dal tempo e levigato dalle mani dei pellegrini. Il Sasso di san nazarioLa fantasia popolare afferma che lì s’era seduto il Santo per riposarsi e per lavarsi, con l’acqua benefica e calda del fiume che scorre a pochi passi, le piaghe, di cui aveva infette le gambe. Questo sasso, in ricordo del Santo, anche oggi viene baciato come una reliquia.Dietro la chiesetta vi era un pozzo alle cui acque si attribuivano salutari virtù. Più lontano c’era un laghetto, dove andavano a tuffarsi coloro che, piagati, cercavano la salute.Ad una cinquantina di passi verso levante, all’ombra di un fico selvatico, zampillava la sorgente del piccolo fiume sopra ricordato[1].

    In questa zona zampillano alcune fonti d’acqua termale, già analizzate da chimici che vi hanno riscontrato proprietà terapeutiche assai efficaci per l’artrite e il reumatismo.

    Così scrive Raffaele Centonza[2]: “Dalla gentilezza del sig. Raffaele Zaccagnino mi è stata favorita la seguente analisi dell’acqua del fiume Caldola, eseguita nel 1872 dal chimico prof. Silvestro Zinno: solfato di calcio 0,33 – cloruro di sodio 0,30 – cloruro di magnesio 0, 16 – ioduro di magnesia 0, 15 – carbonato di calcio 0, 27 – carbonato di soda 0,20 – silice 0,17 – materie organiche 0, 27 – perdita 0, 136”.

    Speciale Devozione nutre per questo Santo la popolazione dell’intero Gargano.

    san Nazario m.
    san Nazario m.

    A migliaia si riversano in questo luogo, il 27 e 28 luglio di ogni anno, i pellegrini dei circostanti paesi. Nella notte tra i due giorni sopra nominati, questa zona, un tempo orribilmente malarica, si rianima come d’incanto. I devoti, che accorrono per credenza o per svago dai paesi garganici e dai dintorni, riempiono di accampamenti il luogo, illuminato da fanali e lanterne.
    Per l’occasione ripetono una vecchia cantilena: “Santo Lazzàro in mezzo tre confini Lesina, Terranova, la Prucìna”.
    E i devoti cantano:
    “…La cocce de sante Lazzàre
    come c(e)’adore e come c(e)’ adore,
    c(e)’adore u’ bòne Gesù
    e sante Lazzàre aiutece tu .

    La fronte de sante Lazzàre
    Come c(e)’adore e come c(e)’adore,
    c(e)’adore u’ bòne Gesù
    e sante Lazzàre aiutece tu…

    U còre de sante Lazzàre
    come iè bèlle e come iè bèlle,
    iè bèlle tutte quante

    e sante Lazzàre facce la grazia.

     

    U pède de sante Lazzàre

    Come c(e)’adore e come c(e)’ adore,

    c(e)’adore sèmpe de chiù

    e sante Lazzàre aiutece tu[1]

     

    Parecchi anni fa ecco come erano vissuti questi giorni da chi, poco curandosi delle difficoltà del viaggio e delle punture d’innumerevoli zanzare, accorreva in questo luogo.

    Quelli che erano giunti la sera precedente cercavano di trovare un rifugio per la notte sotto i numerosi ulivi della rocciosa falda del Gargano ad est della Cappella. Altri si sistemavano sulla brulla pianura e sotto tende improvvisate.

    I venditori di ogni sorta di mercanzia trovavano posto davanti alla chiesetta e sulla strada che va verso Sannicandro Garganico.

    I lumicini degli accampamenti, i fanali e le lanterne delle baracche dei venditori davano una visione fantastica a chi, per sventura, era costretto a dimorare in questo luogo.

    Fin dai primi albori tutta questa gente si riuniva davanti al Santuario, svegliata anzitempo dal pessimo riposo e dalle zanzare.

    I nuovi arrivati facevano ressa davanti alla porta, aumentavano il numero già elevato dei presenti, per trovare posto nella chiesa ed assistere alla celebrazione della prima messa. Nell’interno della stretta chiesa i devoti, pigiati come acciughe in salamoia, gridavano, imploravano a voce alta nella convinzione che il Santo potesse elargire copiosamente le sue grazie.

    Parecchi fatti miracolosi sono successi, testimoniati e raccontati dai nonni.

    Passato questo fervore di popolo nei due giorni predetti e nell’ottava della festa del Santo, durante tutto l’anno la Cappella Santuario diventa una zona deserta, popolata solo da pochi pastori, da mucche e da bufali.

    Nel 1893 la Cappella era ancora rappresentata dal clero di Lesina, ma, a tale epoca, avvenuta l’erezione a parrocchia autonoma della chiesa di Poggio Imperiale, la cappella stessa passò sotto la giurisdizione della nuova cura, che coincise con lo stesso territorio civile definito nel 1806 dal ripartitore demaniale Biase Zurlo.

    Tutto questo non piacque ai lesinesi, che più volte cercarono di conquistare il diritto perduto.

    Tentarono tutti i mezzi, senza escludere la violenza e il furto, rubando la statua dalla cappella rurale e trasportandola in Lesina.

    Il 28 aprile 1894, il sindaco di Lesina, protestando per non so quali tumulti avvenuti nella cappella di San Nazario, mandò sul luogo il Brigadiere delle guardie

    municipali ed il segretario comunale a suggellare la porta con assi inchiodati e mettendo una nuova serratura.

    Di fronte a tale atto, il parroco di Poggio Imperiale, don Brunone Leone, querelò il sindaco di Lesina, sig. Giacomo Matteo Troiano. Egli lamentava che da quasi un anno, in modo indegno, aveva privato la popolazione di Poggio Imperiale del possesso della cappella di San Nazario.

    La causa fu discussa davanti alla Regia Pretura Mandamentale di Apricena, ed il pretore del tempo, avvocato Alfonso Giannessini, con sentenza del 22 luglio 1894, condannò il sindaco di Lesina a consegnare, nel termine di tre giorni, al vicario don Brunone la chiesa di San Nazario, situata nel territorio di Poggio Imperiale e lo condannò al pagamento di mille lire. Il pretore, inoltre, autorizzò il vicario, qualora il sindaco non rispettasse tali disposizioni, di aprire la porta con la forza e fare apporre una nuova serratura, a spese del sindaco di Lesina.

    Dopo tali episodi, S. E. il cardinale Camillo Siciliano di Rende, arcivescovo di Benevento, sotto la cui giurisdizione si trovavano Poggio Imperiale e Lesina, pure affermando il diritto del parroco di Poggio Imperiale sulla cappella di San Nazario, si riservava per sé il diritto di nominare il rettore[1].

    Il 5 settembre 1927 il parroco don Giovanni Giuliani senior scriveva a monsignor Oronzo Durante, Vescovo di San Severo[1], che quel luogo malarico aveva bisogno di un eremita per la Cappella di San Nazario. Segnalò il sig. Pasquale Cognetta persona buona e degna di affidamento.Il sei settembre dello stesso anno la Curia Vescovile autorizzava il parroco di Poggio Imperiale ad assumere il Cognetta quale eremita della Cappella di San Nazario[2]. Processione anni '60

    Il nuovo cappellano del luogo don Giovanni Giuliani junior, don Nannino, si è adoperato per rendere più accogliente e più presentabile il luogo ai visitatori. L’impegno di don Nannino, la sua costanza e caparbietà hanno permesso di realizzare ben presto il suo sogno: quello di rendere il Santuario di San Nazario un luogo degno di culto e devozione.

    Ecco cosa diceva a chi gli chiedeva il perché di tanto lavoro: “Si va avanti un passo ogni giorno, ma si va avanti. S. Nazario deve diventare un Santuario, S. Nazario deve inserirsi negli itinerari del turismo mistico del Gargano, S. Nazario deve costituire un relax, una quiete spirituale e fisica, un ristoro d’anima e di corpo”. Don Giovanni, tenendosi con una mano sollevato il grembo della sottana

    impolverata e con l’altra indicando ai curiosi una catasta di mattoni, incitava i muratori a darsi da fare: “Qui ogni mattina si scarica materiale”[1].

    Il vecchio e cadente oratorio è stato demolito e al suo posto, con il beneplacito del vescovo di San Severo, mons. Valentino Vailati, con l’assunzione di molti debiti da parte di don Nannino, si è eretto un nuovo tempio, accanto al quale sorge una confortevole “Casa del Pellegrino”.

    I lavori iniziarono durante l’estate del 1967 ed ora si possono ammirare delle opere che fanno onore non solo a Poggio Imperiale, ma a tutti i comuni del Gargano.

    Don Nannino, infatti, voleva qualcosa di più. Testimone e costruttore di carità a favore dei più bisognosi, quelli che il vangelo chiama “poveri, ultimi”, iniziò e condusse una vera campagna pubblicitaria.

    Interessò Enti, Istituti vari, giornali, mettendo in movimento tutte le sue amicizie per raccogliere contributi da ogni parte.

    Il Corriere di San Severo del 5-12-1990 così scriveva: “Villaggio del Buon Samaritano. – Un gesto generoso per la casa residenziale. – … facciamo un regalo al nostro egregio collaboratore Mons. Giovanni Giuliani, il quale, entro la fine dell’anno, dovrà stipulare lo strumento per l’acquisto di circa cinque ettari di terreno vicino San Nazario per l’erigendo villaggio del Buon Samaritano, con casa residenziale per handicappati ed anziani, con annessi attrezzati poliambulatori…”Santuario di S. Nazario M.

    Il Giornale di San Severo del 9-12-1990 rivolgeva ai lettori quest’appello: “… Vogliamo aiutare l’erigendo villaggio del Buon Samaritano che sorgerà su circa cinque ettari di terreno in zona San Nazario, in agro di Apricena. Il villaggio sarà costituito da una casa residenziale per handicappati e una per anziani, fornite di attrezzati poliambulatori. Animatore responsabile dell’iniziativa è mons. Giovanni Giuliani, direttore della Caritas Diocesana e dell’Istituto di Scienze Religiose. L’iniziativa merita il plauso e l’aiuto di tutti per l’evidente indispensabilità sociale…[1]

    Altri rivolsero l’attenzione alle acque del Caldoli, per far sorgere in quel luogo “il Borgo di San Nazario” con la costituzione di una “S.p.A. Terme di San Nazario”, ma gli ostacoli che si presentarono furono tali e tanti da non consentire una tale realizzazione. Il “Borgo e le Terme” sono rimasti solo un sogno.

    Dalla “fondazione Zaccagnino”, proprietaria della masseria adiacente, il Cappellano ha acquistato il terreno, atto ad ospitare le diecine di migliaia di visitatori che accorrono ad onorare il Santo nel periodo della Festività.

    Processione
    Processione

    L’opera iniziata non è stata portata a termine per la prematura scomparsa del compianto don Nannino. Ai suoi successori si fa l’augurio di non disperdere il frutto di tanto lavoro e di continuare a seminare e raccogliere in un campo già abbondantemente dissodato e coltivato.

    Oggi, come si è detto già da più parti[1], San Nazario è considerato una tappa obbligata dell’incantevole itinerario per quelli che si recano alla Montagna Sacra del Gargano.

    (Alfonso Chiaromonte)

     

     

    [1] LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, 26 luglio 1967. Avrà il Santuario, San Nazario il “Santo della Stanchezza”, a cura di A. Lupo. Don Giovanni Giuliani, un dinamico sacerdote, è impegnato a fare della località – dove esistono efficaci fonti termali – un “ristoro dell’anima e del corpo”.

     

    [1] ALFONSO CHIAROMONTE, Poggio imperiale note di storia sociale e religiosa, Foggia 1999, p. 43.

    [1] LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO del 26 luglio 1967.

    [1] MARIO A. FIORE, op. cit. p. 144 “ Ill. .mo e Rev. .mo Monsignore.

    Non avendo persona alcuna a cui affidare la custodia della Cappella di S. Nazzario, luogo malarico, si vorrebbe affidare tale ufficio a Pasquale Cognetta. Da informazioni assunte dal Parroco e dal Cappellano Ripoli, il Cognetta risulta buona persona per cui si potrebbe fare affidamento. Bacio il S. Anello.

    Sac. Giovanni Giuliani”.

    [2] L’eremita, che poteva essere anche sposato e con figli, doveva impegnarsi a ritirarsi da solo presso l’edificio della Chiesa ed a mantenervi vivo il culto. Era autorizzato a questuare presso i fedeli. Con il frutto della questua provvedeva al proprio sostentamento ed al mantenimento della Chiesa. Egli s’impegnava di fronte al Clero ed alla Gerarchia Ecclesiastica di condurre vita monacale, per tutto il tempo che fosse rimasto in quella condizione. Esercitava anche le funzioni di sagrestano durante le divine funzioni. ( Cfr. MARIO A. FIORE, op. cit., p. 73).

    [1] ALFONSO CHIAROMONTE, op. cit., p. 116. MARIO A. FIORE, op. cit., p. 129 e ss. “LETTERA DELL’ARCIVESCOVO DI BENEVENTO AL SINDACO DI LESINA).

    Preg. Sig., ho ricevuto in data 14 luglio e mi dispiace che non si sia potuto arrivare dinanzi al pretore a una conciliazione che tutti desiderano, anzi s’impone come una necessità. Però leggendo la memoria presentata dall’avvocato di Lesina, non mi sembra che la colpa sia tutta del parroco Leone, poiché il suddetto avvocato ha travisato il senso della mia lettera in modo che le conclusioni sue sono del tutto contrarie ai miei intendimenti. Egli infatti interpretando il concetto di non doverci occupare della questione di proprietà e della chiave della cappella di San Nazzario, vuol dimostrare come io abbia ritirato il mandato al Vicario Foraneo e mette in questione tutto il decreto emanato nel maggio 1893. Non ho bisogno di dimostrarle quanto sia insussistente tale modo di argomentare. Il decreto rimane integro, cioè: La Cappella di San Nazzario sta sotto la giurisdizione del Vescovo, come qualunque chiesa o cappella o luogo sacro della diocesi, e può delegarlo a rappresentarlo qualunque personaggio ecclesiastico o laico, e nel caso presente ho inteso delegare per detta giurisdizione il Vicario Foraneo Don Brunone Leone, a quello stesso titolo che prima di lui era delegato D’Apote, Vicario Foraneo, De Cicco, Vicario Foraneo, etc. La Giurisdizione di questo delegato si esercita sopra tutto quello, che riguarda la detta cappella cioè servizio divino, custodia del locale e degli arredi, amministrazione delle elemosine fatte al santo ed altre cose simili. Su quale punto Ella stessa mi ha assicurato come eravamo d’accordo. Se ho detto di non aversi ad occupare né del diritto di proprietà, né della chiave; non ho inteso con ciò né menomare la giurisdizione del Vicario Foraneo, né modificare il mandato affidatogli; ma non ho avuto altro in mira se non che escludere la questione di proprietà, perché portata dinanzi ad altra sede giuridica, di cui si aspetterà il verdetto; ed in quanto alla chiave perché questa, essendo la cappella per comodo del pubblico, conviene che sia custodita da chi sta sopra luogo, né potevo prevedere che la si fosse ritenuta come simbolo di proprietà o di giurisdizione, perché le chiese non sono come le case o le masserie, ma bensì una proprietà sui generis appartenenti a tutti e a nessuno, e mai è stata tenuta come segno di proprietà o di giurisdizione la tradizione della chiave. Per il Romita la nomina all’autorità ecclesiastica spetta, come fu deciso dal governo stesso in una circostanza analoga.

    Quanto alla commissione della festa essendo un’associazione di persone, che s’impegnano con l’opera rendere più solenne la festività ed a raccogliere il denaro occorrente può comporsi di persone di ogni paese indistintamente. Però hanno l’obbligo strettissimo di sottostare al Vicario Foraneo per tutto quello che riguarda al culto della cappella ed all’ordine delle funzioni, a versare ai sacerdoti il denaro raccolto per messe e litanie, ad ornare il Santo dei doni, che riceve, essendo vietato farne altro uso, ad adibire al culto della cappella la cera, che si può raccogliere. Più debbono rendere i loro conti al su riferito superiore ecclesiastico.

    Tutto questo che ho detto è comune a tutte le chiese e a tutti i paesi, e mi fa pena di vedere suscitata una lizza fra cotesti Comuni per una questione, che, se si riflette bene, non esiste. A me pare che sarebbe tanto facile stabilire un accordo bonario sopra queste basi: 1) prescindere dal dritto di proprietà della cappella, che ripeto non è una masseria e non rende ai privati, 2) Riconoscere la piena Giurisdizione dell’Arcivescovo, che è Pastore degli uni come degli altri; 3) Fare intervenire i Sacerdoti di Lesina e di Poggio a preferenda di qualunque altro alle solennità, dividendo ugualmente fra i medesimi le messe e le litanie; 4) Nel non distrarre i donativi e le elemosine ad usi alieni al Santuario. 5) Nel nominare una Commissione composta da oneste e devote persone dei due paesi.

    L’avverto che ho scritto negli stessi sensi al Sig. Pretore di Apricena.

    Quanto alla sentenza del 1839, si sono fatte le più solenni ricerche senza risultato fin’ora; però avendo saputo che il municipio di Poggio Imperiale ricorse al potere civile contro le decisioni della curia, è facile che tutte le carte concernenti questo affare, richiamate a Napoli siano rimaste all’archivio della Consulta del Regno.

    Con ossequio nel segno † C. Card. Arciv.”

    [1] La testa di san Nazario/ come si onora e come si onora,/ si onora il buon Gesù/ e san Nazario aiutaci tu. /La fronte di san Nazario / come si onora e come si onora, / si onora il buon Gesù / e san Nazario aiutaci tu. / Il cuore di san Nazario / com’è bello e com’è bello. / bello tutto quanto/ san Nazario facci la grazia. / Il piede di san Nazario/ come si onora e come si onora, / si onora sempre di più/ e san Nazario aiutaci tu.

     

     

    [1] ALFONSO CHIAROMONTE, Da fattoria a Poggio Imperiale, II Ed. Poggio Imperiale 2011, p. 112.

    [2] RAFFAELE CENTONZA, L’uomo primitivo nel monte Gargano e sulle rive del lago di Lesina in Capitanata, San Severo 1888, p. 10 nota 1.

     

     

    [1] Il termine ex-voto designa quegli oggetti offerti alla divinità per impetrare una grazia o come rendimento di grazie. In base alla loro funzione gli ex voto si classificano in due gruppi: generici, cui appartengono oggetti offerti come puro e semplice atto devozionale (ceri, candele, lampade, ecc…), ed ex voto di identificazione, cui appartengono riproduzioni di parti malate del corpo (ex voto cosiddetti anatomici e poliviscerali), piccole riproduzioni della intera figura umana, cuori e tavolette dipinte.

    Tracciare una storia degli studi delle tavolette votive non è facile. I primi studi non nacquero con lo scopo programmatico di occuparsi del fenomeno in sé o di farvi luce, ma furono un risultato di studi eruditi. Bisogna arrivare ai primi del 1900 perché gli ex voto vengono considerati come forma di cultura popolare e come tali studiati e analizzati. (Da ANNA MARIA TRIPPUTI, Le tavolette votive del Santuario di San Matteo in San Marco in Lamis, Fasano di Puglia 1981, p. 11…).

    “…Non stupisce, – scrive NICOLA TOMMASINI, Il divino Amore, storia, tradizione, pietà popolare, Roma 1988, p. 154 -, che presso tutte le religioni si trovino moltissimi esemplari di ex voto, rappresentati da templi, vasi, statue, arnesi di culto, edicole ed altari, oggetti preziosi, armi e prede tolte al nemico, …Agli ebrei, per il pericolo di cadere nell’idolatria, Dio aveva proibito di scolpire immagine alcuna delle cose che sono su in cielo e qui sulla terra. Allora, per ottenere favori dal Signore si limitavano a consacrargli o dedicargli con voto persone o cose, oppure s’impegnavano di astenersi da qualche atto o soddisfazione o cibo per sé permessi dalla legge mosaica. Gli antichi cristiani hanno ereditato dai loro antenati l’uso di propiziare la divinità con delle promesse, di dimostrare la loro riconoscenza per il beneficio ottenuto lasciandone nelle chiese memorie raffigurata in oggetti di culto come croci, candelabri, lampade , piatti, calici e vasi cari o in parti della chiesa stessa come colonne, porte, altari, banchi o tratti di mosaico pavimentale…”.

[1] GIUSEPPE DE LEONARDIS, op. cit., p. 161. MICHELANGELO MANICONE, La Fisica Appula, tomo I, Napoli 1806, p. 194 e ss.

[2] Il convento di San Matteo dopo S. Marco In Lamis.

[1] MARIO A. FIORE, Profilo storico del Santuario di San Nazario, Foggia 1970, p. 58.

[2] MICHELE COLOZZI, Genesi del Territorio e diritti di uso civico per Lesina, San Severo 1932, p. 52.

[3] ANTONIO LUCCHINO, Del terremoto che addì 30 luglio 1627 ruinò la città di San Severo e terre circonvicine, Foggia 1966, p. 64 e p. 99.

[4] MARIO A. FIORE, op. cit., p. 69.

[5] GIUSEPPE DE LEONARDIS, Monografia generale del Promontorio del Gargano, Napoli 1858, p. 162.

[1] MARIO A. FIORE, Profilo storico del Santuario di San Nazario, Foggia 1970, p. 58.

[2] MICHELE COLOZZI, Genesi del Territorio e diritti di uso civico per Lesina, San Severo 1932, p. 52.

[3] ANTONIO LUCCHINO, Del terremoto che addì 30 luglio 1627 ruinò la città di San Severo e terre circonvicine, Foggia 1966, p. 64 e p. 99.

[4] MARIO A. FIORE, op. cit., p. 69.

[5] GIUSEPPE DE LEONARDIS, Monografia generale del Promontorio del Gargano, Napoli 1858, p. 162.

[1] SCIPIONE MAZZELLA NAPOLITANO, Descrittione del Regno di Napoli, Napoli 1601, p. 307.

[2] M. FRACCACRETA, op. cit., tomo I, p. 185.

[3] LEONARDO GIULIANI, Storia statistica sulle vicende e condizioni della città di San Marco in Lamis…, Bari 1846, p. 5 e ss. Egli sostiene che dov’era il tempio di Podalirio fosse sorto un romitaggio, l’ospizio che accoglieva i pellegrini che si recavano al Santuario di Monte Sant’Angelo, oggi diventato il Convento di San Matteo.

Pubblicato da Alfonso Chiaromonte

Alfonso Chiaromonte è nato il 25 aprile 1941 a Poggio Imperiale dove attualmente risiede. E' conosciuto come scrittore di cose patrie, autore di apprezzati studi su Poggio Imperiale, di cui ha descritto minutamente la breve ma intensa storia.